È giusto il licenziamento del dipendente che, durante il periodo di assenza dal lavoro per malattia, viene sorpreso a lavorare nei campi e a svolgere operazioni incompatibili con il suo stato di salute

La vicenda

Una nota industria alimentare italiana aveva licenziato un proprio dipendente dopo aver accertato, ricorrendo ad un’agenzia investigativa, lo svolgimento da parte del predetto di attività incompatibile con lo stato di malattia addotto a giustificazione dell’assenza dal lavoro.

Sia il giudice di primo grado che la Corte d’Appello di Torino confermavano la sanzione disciplinare intimata dalla società datrice di lavoro.

In particolare, la decisione della Corte territoriale discendeva all’aver ritenuto legittimi gli accertamenti investigativi e corrette le valutazioni del primo giudice circa la valenza confessoria attribuita alle giustificazioni rese dal dipendente anche in relazione all’attività svolta (operazioni di carico manuale della legna), la rilevanza degli ulteriori comportamenti addebitati, l’inattendibilità dei testi indotti ed, infine, il compimento di sforzi non consentiti dalle prescrizioni mediche.

La vicenda è giunta in Cassazione su ricorso del dipendente.

Ad avviso del ricorrente, la sentenza impugnata era fondata su un dato non emerso in sede istruttoria per cui egli avrebbe dovuto astenersi dal compiere attività che potevano comportare un sia pur minimo impegno fisico o anche solo apprezzabili sollecitazioni agli arti superiori e comunque l’incongruità logica e giuridica della valutazione delle risultanze istruttorie operata dalla Corte medesima.

Ma il motivo è stato dichiarato inammissibile. Per i giudici della Suprema Corte “il convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine all’idoneità delle condotte tenute dal ricorrente a porre in pericolo e a ritardare potenzialmente la guarigione, in quanto lo stesso era tenuto ad astenersi dal compiere attività che potevano comportare un sia pur minimo impegno fisico o anche solo apprezzabili sollecitazioni agli arti superiori, [era] sostenuto da argomentazioni ineccepibili sul piano logico e giuridico”.

A tal proposito, la Cassazione (Sezione Lavoro, sentenza n. 11535/2020) ha ritenuto privo di pregio il rilievo secondo cui “il periodo di rigorosa osservanza del riposo, alla luce del certificato medico scaduto, doveva ritenersi concluso il giorno precedente a quello in cui si era accertato fossero state tenute quelle condotte”, poiché “il dovere di correttezza e buona fede avrebbe comunque dovuto indurre il lavoratore ad astenersi da attività, come il carico e scarico della legna o il trasporto di taniche o anche la guida di un trattore, potenzialmente idonee a pregiudicare il recupero”.

Il ricorso è stato, pertanto, dichiarato inammissibile.

Avv. Sabrina Caporale

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