Tribunale per i Minorenni di Salerno, n. 82/2016 del 22/12/2016

Non è passato molto tempo da quando lo scorso 15.10.2015 è stata approvata la c.d. legge “sulla continuità degli affetti” (L. n. 172/2015).
Questa legge ha rappresentato la fine della barbarie per molti bambini dati in affidamento, poiché maltrattati e trascurati dalla propria famiglia d’origine, e tornati a vivere serenamente nella famiglia affidataria per poi, ove dichiarati adottabili, essere posti in adozione presso una terza famiglia.
Ma cosa significa effettivamente garantire al “minore” la continuità degli affetti?
Questo diritto ha trovato molteplici applicazioni in materia, ispirando sia disposizioni di legge sia la giurisprudenza della Corte Costituzionale e dei tribunali per i minorenni.
Non da ultimo una recente sentenza del Tribunale di Salerno che ha disposto l’affidamento di un minore alla propria tata.
Il caso, ormai noto ai media, è quello di una madre che aveva letteralmente “abbandonato” il proprio figlio di soli cinque mesi alla tata.
Questa, che avrebbe dovuto prendersi cura del piccolo e guardarlo per qualche ora, si era trovata così a doverlo accudire gratuitamente e a tempo pieno.
Secondo la ricostruzione dei fatti, la madre biologica del bambino alternava periodi di totale assenza a periodi in cui si presentava, seppure sporadicamente. Intanto il piccolo continuava a crescere e a essere accudito nella famiglia della tata assieme al proprio marito.
Senonché dopo circa un anno, il padre naturale chiedeva di poter vedere il figlio; e nel frattempo la donna faceva istanza per ottenere l’espatrio del minore.
I coniugi, seriamente preoccupati per le sorti del piccolo, dapprima decidono di non denunciare i fatti alle autorità, temendo che quest’ultimo potesse essere collocato in una casa famiglia o, che, peggio, potesse tornare nelle mani di due genitori inadeguati e assenti.
Questo fino all’aprile del 2014, quando, dopo aver ricevuto risposta negativa dalla madre biologica alla quale avevano fatto richiesta di prestare il consenso per l’affidamento legale in loro favore, decidevano di rivolgersi ai giudici del Tribunale per i Minorenni di Salerno, ove facevano istanza di adozione in casi particolari ex legge 184/1983.
La sentenza del Tribunale di Salerno risponde positivamente alla richiesta dei due coniugi,“considerato che la minore ha stabilito rapporti estremamente solidi e significativi con i ricorrenti e con l’intero nucleo familiare degli stessi…. Considerato che entrambi i genitori del minore sono stati dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale può pronunciarsi comunque l’adozione in casi particolari, dovendo ritenersi il rifiuto contrario all’interesse del minore …che ha stabilito con gli istanti un profondo legame e considera la famiglia affidataria quale sua vera famiglia.. ritenuto che il rifiuto deve ritenersi altresì ingiustificato per via del sostanziale disinteresse mostrato dalla madre e dell’irruzione tardiva, imprevista e sospetta, della figura paterna”.
In una vicenda che mostra molti aspetti peculiari, è comprensibile che il ragionamento decisorio del Tribunale campano in questo caso è incentrato sulla difesa del diritto dei bambini a mantenere i legami affettivi con le persone che si sono prese cura di loro e con cui hanno sviluppato relazioni positive. Situazioni che devono essere prese in considerazione sia nei casi in cui la possibilità di ricongiungimento al genitore biologico risulti definitivamente compromessa, sia nei casi, contrari, in cui questa si verifichi effettivamente. Per altro verso, se esaminate dal punto di vista dell’ordinamento interno, queste vicende si collocano proprio sul crinale della problematica distinzione tra l’istituto dell’affidamento familiare, finalizzato nella sua ratio ad offrire al minore un ambiente di vita idoneo in vista del ricongiungimento al genitore e per questo connotato dalla transitorietà, e l’istituto dell’adozione che, presupponendo l’accertamento del carattere non reversibile della condizione di abbandono, determina lo stabile inserimento del minore in un nuovo nuovo familiare e la creazione di un nuovo status filiationis (Cottatelucci, Montaruli).
Accomuna queste vicende la considerazione, del tutto condivisibile, che con il trascorrere del tempo la permanenza in un nucleo familiare crea legami a prescindere dal carattere formale degli istituti giuridici di cui i giudici nazionali debbono saper tener conto, evitando anche in questo caso decisioni improntate ad automatismi o rigidità legali (Cottatelucci, Montaruli).
In questo senso il nuovo comma 5-bis inserito nell’articolo 4 afferma che: “Qualora durante un prolungato periodo di affidamento, il minore sia dichiarato adottabile ai sensi delle disposizioni del capo II del titolo II e qualora, sussistendo i requisiti previsti dall’articolo 6, la famiglia affidataria chieda di poterlo adottare, il Tribunale per i minorenni, nel decidere sull’adozione, tiene conto dei legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria”.
Per chiarire il senso dell’espressione, occorre innanzitutto precisare che 1) deve trattarsi di una situazione in cui il minore affidato sia stato dichiarato adottabile nel corso di un prolungato periodo di affidamento. Non è la prolungata durata dell’affidamento l’elemento che determina la dichiarazione dello stato di adottabilità dei minori ma – come previsto dal capo II del Titolo II della legge citata n. 184/1983 – l’accertamento della loro “situazione di abbandono perché privi di assistenza materiale e morale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio”.
Se gli affidatari del minore dichiarato adottabile chiedono di poterlo adottare, devono presentare domanda nominativa al Tribunale per i minorenni per richiedere l’adozione del minore loro affidato, motivandola con l’esistenza di legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo che si è consolidato nel tempo tra il minore e loro. Non esiste quindi nessun obbligo da parte della famiglia affidataria verso la scelta dell’adozione. Gli affidatari devono avere i requisiti previsti dall’art. 6, L. n. 184/1983 e ss.mm.ii. e cioè essere sposati da almeno 3 anni (o dimostrare una convivenza della stessa durata precedente il matrimonio), essere ritenuti affettivamente idonei e capaci di educare, avere una differenza di età con il minore non superiore a 45 anni e non inferiore ai 18; è bene però precisare che i limiti di età degli adottanti possono essere derogati “qualora il Tribunale per i minorenni accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore” e quando “siano genitori di figli anche adottivi dei quali almeno uno di età minore, ovvero quando l’adozione riguardi un fratello o una sorella del minore già da essi adottati”.
Il Tribunale per i minorenni nel valutare la loro domanda di adozione deve tenere in debito conto i legami consolidatisi tra il minore e gli stessi affidatari.
Peraltro, l’articolo 4, introduce poi la possibilità di adozione del minore orfano di entrambi i genitori, ipotesi prevista dall’articolo 44, comma 1, lettera a) della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Titolo IV – Dell’adozione in casi particolari – Capo I – Dell’adozione in casi particolari e dei suoi effetti), non solo da parte di “persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo” ma l’adozione è consentita anche da parte di chi, pur non essendo legato da parentela, abbia maturato una relazione continuativa con il minore, nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento.
Orbene, l’espressione “continuità delle positive relazioni socio-affettive consolidatisi durante l’affidamento”, lascia proprio intendere una situazione in cui per il minore dichiarato adottabile la famiglia prescelta dal Tribunale ai fini adottivi non sia quella in cui il minore ha trascorso un periodo di affidamento familiare.
Questa eventualità può verificarsi per una pluralità di ragioni.
Ebbene, la formulazione legislativa, imperfetta sotto diversi aspetti – si è detto – è il risultato di compromessi a fatica raggiunti nel corso dei lavori parlamentari, ove hanno esercitato un peso decisivo le contrapposte visioni riguardanti la possibilità di affidamento familiare da parte di single o di coppie di fatto, etero o omosessuali.
Ma questo caso è diverso.
Resta quindi interamente affidato all’interprete giudiziale il compito delicato di valutare quale sia non solo l’istituto giuridico ma anche la scelta meglio rispondente all’interesse del minore ogni volta che il diritto alla continuità affettiva suggerisce di non allontanarlo dal contesto familiare in cui ha sino a quel momento vissuto (Cottatelucci, Montaruli).

Avv. Sabrina Caporale

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