Il diritto all’oblio della madre biologica è intangibile alla presenza di particolari circostanze (Cass. Civ., sez. I, Ordinanza 3 marzo 2022, n. 7093) .
Il diritto all’oblio della madre biologica prevale su quello del figlio che vuole conoscerne l’identità. Sul diritto in parola la Suprema Corte, con l’ordinanza a commento, ha statuito che: «Il figlio nato da parto anonimo ha diritto di conoscere le proprie origini, ma il suo diritto deve essere bilanciato con il diritto della madre a decidere di conservare o meno l’anonimato. Di conseguenza, se, per un verso, deve consentirsi al figlio di interpellare la madre biologica al fine di sapere se intenda revocare la propria scelta, per altro verso occorre tutelare anche l’equilibrio psico-fisico della genitrice, sicché il diritto all’interpello non può essere attivato qualora la madre versi in stato di incapacità, anche non dichiarata, e non sia pertanto in grado di revocare validamente la propria scelta».
Il diritto all’oblio, in specie nel caso particolare di madre biologica incapace. La Corte d’Appello di Milano respingeva il reclamo proposto dall’interessato avverso il decreto di rigetto del Tribunale per i minorenni di Milano relativo alla richiesta finalizzata a conoscere l’identità dei genitori biologici.
La Corte d’Appello riteneva che la madre naturale del reclamante, a causa della grave compromissione delle facoltà cognitive e volitive, non fosse in grado di esprimere l’autorizzazione a rivelare, o meno, la propria identità. Sulla scorta di tale ragionamento, la Corte territoriale reputava che il diritto all’oblio della donna, inteso come il diritto di dimenticare e di essere dimenticata, fosse ancora sussistente e meritevole di protezione.
Il reclamante ricorre in Cassazione lamentando violazione o falsa applicazione di legge relativamente all’art. 28, comma 7, l. n. 184/1983. Secondo il ricorrente, infatti, la Corte d’Appello ha erroneamente ritenuto che l’impossibilità della madre biologica di esprimere il consenso fosse da equiparare al diniego relativo alla richiesta di revoca di volontà di mantenere l’anonimato.
Inoltre, lo stesso sostiene che la Corte territoriale non ha effettuato alcun bilanciamento tra il diritto all’oblio della madre di mantenere l’anonimato e il diritto del figlio di conoscere le proprie origini.
La Suprema Corte considera le doglianze infondate.
Sull’argomento è intervenuto la Corte Costituzionale (sentenza n. 278 del 2013) che ha dichiarato l’illegittimità della L. n. 184 del 1983, art. 28 sull’adozione dei minori, in quanto non prevede la possibilità per il giudice di interpellare, con riservatezza, la madre non nominata nell’atto di nascita, per l’eventuale assunzione di rapporti personali e non giuridici con il figlio.
In assenza di un intervento normativo ad hoc, viene data continuità all’orientamento già espresso in una fattispecie analoga dove è stato ribadito che «il figlio nato da un parto anonimo ha diritto di conoscere le proprie origini, ma il suo diritto deve essere bilanciato con il diritto della madre a decidere di conservare o meno l’anonimato».
In altri termini, se, da un lato, deve consentirsi al figlio di interpellare la madre biologica per sapere se intenda o meno revocare la propria scelta, dall’altro lato deve anche essere tutelato l’equilibrio psico-fisico della genitrice, «sicché il diritto all’interpello non può essere attivato qualora la madre versi in stato di incapacità, anche non dichiarata, e non sia pertanto in grado di revocare validamente la propria scelta» (Cass. n. 22497/2021).
Per tali ragioni, i Giudici d’Appello si sono espressi in maniera corretta attenendosi ai principi giurisprudenziali indicati, in materia di diritto all’oblio.
In particolare, la Corte d’Appello di Milano, riteneva che l’interpello della donna avesse avuto esito negativo, dopo aver accertato una grave compromissione delle facoltà cognitive e volitive della stessa, che non solo non era stata in grado di esprimere la propria volontà, ma neppure ricordava l’evento della nascita.
Inoltre, la madre non aveva mai avuto contatti e notizie del figlio per oltre quarant’anni e, date le condizioni mentali in cui versava, una rievocazione di quell’evento avrebbe potuto pregiudicare il suo stato psichico.
Il ricorso viene rigettato.
Avv. Emanuela Foligno
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