Nel giudizio di scioglimento della comunione, il diritto di abitazione conseguente al provvedimento di assegnazione non deve influire in alcun modo sulla determinazione del conguaglio dovuto all’altro coniuge

Lo hanno affermato i giudici della seconda sezione civile della Cassazione (sent. n. 33069/2018) che nell’occasione si sono espressi sul tema del diritto di abitazione dei coniugi assegnatari e dei criteri di determinazione del valore di mercato dell’immobile costituente casa familiare.

La vicenda

Con sentenza della Corte d’appello di Torino era stato respinto il ricorso proposto da un coniuge contro la pronuncia resa in primo grado dal Tribunale della medesima sede, nel quale era stato affermato che nel giudizio di scioglimento della comunione legale tra i coniugi, ai fini della determinazione del valore del mercato dell’immobile costituente casa familiare, si dovesse sempre tener conto del vincolo derivante dall’assegnazione del bene ad uno dei genitori nell’interesse dei figli, ancorché l’appartamento sia attribuito per intero in sede di divisione al medesimo coniuge assegnatario.

Per tali ragioni la Corte di secondo grado determinava il valore dell’immobile in euro 159.000,00.

Non era d’accordo il ricorrente, secondo il quale i giudici di merito avrebbero errato nel calcolare il prezzo del bene, posto che secondo le stime delle agenzie immobiliari e delle ctu e ctp espletate e non contestate in giudizio, esso doveva oscillare tra i 285.000,00 e i 290.000,00 euro.

La domanda allora, sorge spontanea: qual è il criterio che deve essere utilizzato al fine di determinare il valore di mercato dell’immobile costituente casa familiare, rientrante nella comunione?

Spetta certamente al giudice di merito stabilire il criterio tecnico da utilizzare in ciascuna fattispecie per determinare il valore venale delle varie quote e dei singoli beni che formano oggetto della divisione, a norma dell’art. 726 c.c. (norma – osserva – applicabile anche nel caso di scioglimento delle comunioni ordinarie ex art. 1116 c.c.), tenendo conto della natura, ubicazione, consistenza e possibile utilizzazione di ciascun bene, oltre alle “normali” condizioni di mercato.

La decisione

Fatta questa premessa i giudici della Suprema Corte di Cassazione, investiti della vicenda, rispondono al quesito annunciando di voler dare seguito all’orientamento maggioritario esistente in materia, secondo cui: in forza delle legge sul divorzio, non può essere considerata in occasione della divisione dell’immobile in comproprietà tra i coniugi al fine di determinare il valore di mercato del bene qualora (come avvenuto nel caso in esame) l’immobile venga attribuito al coniuge titolare del diritto al godimento stesso, atteso che tale diritto è attribuito nell’esclusivo interesse dei figli e non del coniuge affidatario e, diversamente, si realizzerebbe un’indebita locupletazione a suo favore, potendo egli, dopo la divisione, alienare il bene a terzi senza alcun vincolo e per il prezzo integrale (Cass. sent. n. 17843/2016).

Pertanto, nello stimare i beni per la formazione delle quote ai fini della divisione, non può non considerarsi che in caso di assegnazione in proprietà esclusiva della casa familiare, di cui i coniugi erano comproprietari, al coniuge affidatario dei figli, si riunisce nella stessa persona il diritto di abitare nella casa familiare – che perciò si estingue automaticamente – e il diritto dominicale sull’intero immobile, che rimane privo di vincoli. In sede di valutazione economica del bene “casa familiare” nel giudizio di scioglimento della comunione, il diritto di abitazione conseguente al provvedimento di assegnazione non deve, pertanto, influire in alcun modo sulla determinazione del conguaglio dovuto all’altro coniuge (Cass. sent. n. 11630/2001).

 

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