Le autorità nazionali possono stabilire, in materia di esercizio del diritto di visita, le modalità più idonee ad assicurare un sereno ed equilibrato svolgimento dell’esistenza del minore, che tengano conto anche di situazioni di rifiuto definito “non forzabile”

La Corte d’appello di Milano, con decreto pronunciato all’esito di un giudizio promosso da un genitore dinanzi al Tribunale per i minorenni di Milano, nei confronti dell’ex convivente e madre della loro figlia, aveva confermato la statuizione di affidamento esclusivo della minore alla madre, con sospensione di tutti i rapporti con il padre, compreso il diritto di visita.

La vicenda

I due ex coniugi, da tempo erano in rapporti conflittuali.

Era stato, pertanto, avviata una indagine da parte dei Servizi Sociali del Comune di Milano, al fine di avviare i genitori ad un percorso di mediazione familiare. All’esito di tale percorso, era emerso oltre all’incapacità dei genitori di vivere in termini costruttivi la loro conflittualità “perché incapaci di comunicare nell’interesse della figlia”, il persistere del rifiuto della minore, di relazionarsi con la figura paterna, poiché da questa ritenuto una figura del tutto marginale alla sua crescita proprio perché, in passato,… non si sarebbe mai interessato di lei né sotto l’aspetto scolastico né dal punto di vista socio-relazionale e sanitario”; rifiuto da ricollegare, stante anche il giudizio degli operatori sociali, unicamente alla “difficoltà dei genitori di farsi aiutare nella valorizzazione delle proprie funzioni genitoriali”.

Alla luce di tali rilevazioni, i giudici della corte distrettuale di Milano avevano ritenuto di confermare l’affidamento in via esclusiva alla madre della minore, ormai; adolescente ed inserita stabilmente nel nuovo nucleo famigliare costituito dalla donna e dal suo nuovo compagno.

Quale padre potrebbe accettare una simile situazione?

Ebbene, questi decise allora, di adire i giudici di legittimità contro la predetta sentenza, lamentando la violazione della legge nella parte in cui avrebbe violato il diritto della minore alla bigenitorialità, oltre al diritto di intrattenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori e quindi anche con il padre.

Il ricorso per Cassazione

Il ricorso per Cassazione è ammissibile, almeno sotto il profilo dell’oggetto dell’impugnazione.

La Corte ha premesso infatti, che: “Il decreto della corte di appello, contenente provvedimenti in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio – ma principio ormai estensibile anche a quelli adottati nei riguardi dei figli nati fuori dal matrimonio – e le disposizioni relative al loro mantenimento, è ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., poiché già nel vigore della L. 8 febbraio 2006, n. 54 – che tendeva ad assimilare la posizione dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati nel matrimonio – ed a maggior ragione dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 – che ha abolito ogni distinzione – al predetto decreto vanno riconosciuti i requisiti della decisorietà, in quanto risolve contrapposte pretese di diritto soggettivo, e di definitività, perché ha un’efficacia assimilabile “rebus sic stantibus” a quella del giudicato” (Cass. 6132 del 2015 cui è seguita 18194 del 2015; Cass. 6919/2016; Cass. 3192/2017; Cass. 11554/2018).

Quando alla fondatezza, il discorso cambia.

In tema di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, – affermano gli Ermellini – questa Corte ha avuto modo di affermare che alla regola dell’affidamento condiviso può derogarsi soltanto se la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore, precisando che ai fini dell’affidamento esclusivo non è sufficiente la mera considerazione della distanza oggettiva esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, la quale può incidere esclusivamente sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascuno di essi, o della conflittualità che caratterizza i rapporti tra gli stessi, ma occorre una specifica motivazione che tenga conto in positivo della capacità educativa del genitore affidatario ed in negativo dell’inidoneità o delle manifeste carenze dell’altro genitore (cfr. Cass., Sez. 1, 17/01/2017, n. 977; 17/12/2009, n. 26587; 18/06/2008, n. 16593; Cass., Sez. 6, 2/12/2010, n. 24526). La realizzazione della cd. bigenitorialità, quale presenza comune di entrambe le figure parentali nella vita del figlio e cooperazione delle stesse nell’adempimento dei doveri di assistenza, educazione ed istruzione, non comporta necessariamente una determinazione paritetica del tempo da trascorrere con il minore, risultando invece sufficiente la previsione di modalità di frequentazione tali da garantire il mantenimento di una stabile consuetudine di vita e di salde relazioni affettive con il genitore.

Ebbene, nel caso in esame, correttamente i giudici della Corte  adita, avevano tenuto conto di una situazione di fatto che peraltro, si era venuta a creare anche per effetto della lontananza tra il luogo di residenza della minore con la madre e quello ove ha continuato a vivere il padre, oltre che per l’incapacità manifestata dei genitori di risolvere la persistente conflittualità interna nell’interesse di un sereno sviluppo della figlia. Da essa non poteva che derivare la conferma della temporanea sospensione del diritto di visita del padre, in attesa del completamento del percorso individuale di crescita della minore, attraverso il supporto psicologico offerto dai Servizi Sociali.

I giudici della Corte di Cassazione, dunque, ammoniscono i due genitori e ricordano l’importanza del loro ruolo nel percorso di formazione dei figli, per cui è necessario mantenere delle “responsabili relazioni”.

La soluzione, così adottata, non appare neppure contraria alle disposizioni contenute nell’art. 8 della CEDU che impone alle autorità nazionali il dovere di compiere ogni tentativo possibile per agevolare la conservazione o il ripristino di una congrua ed assidua frequentazione tra il minore ed li genitore non collocatario, anche nel caso in cui sussista una considerevole distanza tra il luogo di residenza di quest’ultimo e quello in cui risiede l’altro genitore. Tale principio deve essere sempre contemperato con la discrezionalità per le stesse autorità nello scegliere le modalità (relative all’esercizio del diritto di visita) più idonee ad assicurare un sereno ed equilibrato svolgimento dell’esistenza del minore, che tengano conto anche di situazioni di rifiuto definito “non forzabile” come quello in esame. Interventi coattivi, sortirebbero inevitabili effetti controproducenti, pregiudicando l’equilibrio psico-emotivo della minore.

Motivo per cui il ricorso deve essere respinto.

 

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