Un regime di vita mortificante e violento quello che una donna aveva subito per moltissimi anni a causa delle continue violenze e angherie psicologiche poste in essere dal marito: ineccepibile la ricostruzione dei giudici di merito

La vicenda

Il reato di maltrattamenti è un reato abituale essendo costituito da una pluralità di fatti commessi reiteratamente dall’agente con l’intenzione di sottoporre il soggetto passivo a sofferenze e angherie fisiche e morali, per una serialità minima in cui ogni condotta successiva si riallaccia alla precedente dando vita ad un illecito strutturalmente unitario”.

Alla luce di tale principio di diritto, la Corte di Cassazione (Sesta Sezione Penale sentenza, n. 45521/2019) ha ritenuto infondate le censure con le quali l’imputato aveva denunciato il vizio di motivazione della sentenza di condanna pronunciata a suo carico dalla Corte d’appello di Milano, in ordine ai reati di maltrattamenti e lesioni personali aggravate commessi anche in presenza dei figli minori.

L’uomo era stato dichiarato colpevole anche del delitto di lesioni per avere colpito la moglie al volto e alla nuca. Quest’ultimo aveva tuttavia denunziato l’inattendibilità delle dichiarazioni dalla persona offesa, a sua detta non idonee a fondare la decisione di condanna.

Il giudizio di legittimità

Ma i giudici della Suprema Corte, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, hanno ritenuto ineccepibile l’inquadramento giuridico della fattispecie nel reato contestato, essendo stata accertata la sistematica volontà di imporre alla moglie un regime di vita mortificante e violento.

Le dichiarazioni della vittima erano apparse lineari ed efficacemente riscontrate dalla certificazione medica relativa alle lesioni riportate dalla donna nell’episodio denunciato, nonché dalla documentazione fotografica eseguita dai militari intervenuti, relativa alle tumefazioni presenti sul suo volto, ma anche dalle stesse dichiarazioni dell’imputato, che aveva confermato molti degli episodi narrati dalla moglie, salvo poi dare una spiegazione alternativa della loro genesi e negare di avere trasmodato in reazioni violente o minacciose.

La decisione

La Corte territoriale, nel fare buon governo degli esiti di prova, aveva evidenziato le continue angherie psicologiche, lesive della dignità di donna e di madre che la vittima era costretta a subire e gli atteggiamenti violenti e di smodata collera avuti dal coniuge anche a fronte di accadimenti banali, quali la preparazione asseritamente errata del thè o della colazione.

Per tutti questi motivi è stata confermata la sentenza di condanna alla pena complessiva di un anno e due mesi di reclusione che ora l’uomo dovrà scontare, oltre al risarcimento del danno in favore della parte civile e al pagamento delle spese processuali.

La redazione giuridica

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