Non è censurabile la decisione attendista dei medici che scelgono di non eseguire un terzo intervento sulla paziente: troppo bassa la percentuale (40%) di sopravvivenza rispetto all’elevatissimo rischio di mortalità perioperatoria

La vicenda

L’attore convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Firenze l’ASL chiedendo il risarcimento del danno, sia iure proprio che ereditario, per la morte della propria madre deducendo che la causa del decesso fosse imputabile a colpa medica.

Il Tribunale adito rigettò la domanda e la Corte d’appello confermò la decisione. Sul punto, osservò la corte territoriale che il CTU dopo aver escluso che la causa del decesso fosse stata la pancreatite, aveva evidenziato che per un verso una TAC all’addome – che pure sarebbe stata opportuna – non avrebbe fornito elementi decisivi ai fini dell’opzione di un nuovo trattamento chirurgico, per l’altro che, benché l’ipotesi di un terzo intervento sarebbe stata da considerare, altrettanto valida era stata la scelta attendista dei sanitari, in quanto l’eventuale terzo trattamento chirurgico avrebbe realizzato chances di sopravvivenza quantificabili in misura di poco superiori al 40%, ma vi sarebbe stato un elevatissimo rischio di mortalità perioperatoria.

Lo stesso CTU aveva affermato che, pur in presenza di una qualche condotta ipoteticamente colposa dei sanitari, era incerta la correlazione causale fra tale condotta ed il decesso, di cui non era stato neppure possibile identificare la causa. In sostanza non risultava raggiunta la soglia del “più probabile che non” quanto alla correlazione causale fra la morte della paziente e la condotta dei sanitari.

Il giudizio di legittimità

La Terza Sezione Civile della Cassazione (sentenza n. 28991/2019) ha condiviso il ragionamento svolto dai giudici della corte d’appello, riaffermando il seguente principio di diritto: «ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento della prestazione di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di presunzioni, il nesso di causalità fra l’aggravamento della situazione patologica, o l’insorgenza di nuove patologie, e la condotta del sanitario, mentre è onere della parte debitrice provare, ove il creditore abbia assolto il proprio onere probatorio, che una causa imprevedibile ed inevitabile abbia reso impossibile l’esatta esecuzione prestazione».

Nel caso di specie, la corte territoriale aveva affermato che l’esistenza di una patologia addominale era soltanto ipotetica e che comunque, anche ammettendo l’esistenza di tale patologia, la scelta attendista dei medici fu altrettanto valida rispetto a quella di eseguire un terzo intervento chirurgico perché, a fronte della realizzazione di chances di sopravvivenza qualificabili in misura di poco superiore al 40%, vi era un elevatissimo rischio di mortalità perioperatoria.

In altre parole, la corte d’appello aveva fondato la propria decisione sul fatto che non era stata accertata l’esistenza di patologia addominale, sicché la possibilità di sopravvivenza conseguente all’intervento sarebbe stata valutata non rispetto ad un dato accertato ma rispetto ad una semplice ipotesi.

La redazione giuridica

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