Errata diagnosi di aborto interno (Tribunale L’Aquila, 01/03/2023, n.127).

Aborto interno erroneamente diagnosticato e conseguente intervento subito è quanto lamentato dalla paziente.

La donna si rivolge al Tribunale al fine di sentire accertare e dichiarare la responsabilità sanitaria dei convenuti per l’errata diagnosi di aborto interno nonché per il conseguente intervento subito.

In particolare deduce che:

– in data 28.03.2007, gravida alla quinta settimana, a seguito della comparsa di perdite ematiche, si è recata presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale e ivi è stata ricoverata con la diagnosi di “minaccia d’aborto”;

– gli esami ematochimici eseguiti in occasione del ricovero avrebbero rilevato, tuttavia, un aumento esponenziale dei valori di beta HCG;

– ciò nonostante, in data 31.03.2007, il Medico le avrebbe diagnosticato l’avvenuto “aborto interno” e, per tale motivo, nella stessa giornata, è stata sottoposta all’intervento di “svuotamento e revisione della cavità uterina”, con prescrizione del farmaco utero-tonico Methergin;

– nei giorni successivi, persistendo uno stato di malessere, la donna si recava presso la propria Ginecologa di fiducia, la quale, a seguito di un controllo ecografico, rilevava la presenza di un feto in grembo compatibile con la stessa gravidanza ritenuta e diagnosticata interrotta;

– presso un’altra struttura la donna portava a termine la gravidanza alla trentottesima settimana.

A causa di tale errata diagnosi la donna lamenta un trauma psichico che avrebbe compromesso anche il rapporto con il figlio che avrebbe subito a sua volta uno stato di forte attaccamento con la figura materna.

Il Tribunale ritiene la domanda fondata. Sulla scorta della CTU viene evidenziato che la diagnosi di aborto interno e il successivo trattamento chirurgico di revisione della cavità uterina sono stati errati.

In primo luogo, è stato rilevato dai Consulenti che “l’evidente rialzo dei valori del BetaHCG, ormone prodotto dalla placenta a partire dal momento in cui l’embrione si annida nell’utero, rappresentava una condizione fortemente indicativa di gravidanza ancora in atto, e avrebbe dovuto indurre i sanitari ad attuare quantomeno un atteggiamento di attesa. Sarebbe stato prudente cioè, osservare nei giorni successivi l’andamento dei valori ormonali e valutare a distanza di qualche giorno, le condizioni uterine attraverso ulteriore controllo ecografico, così come raccomandato dalle Linee Guida in materia nei casi dubbi, al fine di verificare inequivocabilmente se l’aborto si fosse effettivamente verificato……. nonostante l’esecuzione della terapia chirurgica, in linea del tutto casuale, l’embrione non veniva rimosso durante il raschiamento, permanendo in loco, così come poi confermato dall’esame istologico eseguito sul materiale asportato in data 5/04/07“.

Infatti, la gravidanza della paziente, regolarmente proseguita, coincideva con la data dell’ultima mestruazione e, pertanto, la gravidanza accertata nei successivi controlli post operatori era, in realtà, quella erroneamente ritenuta interrotta dai sanitari operanti presso la struttura convenuta.

I CTU, pertanto, hanno ritenuto che “i sanitari, in considerazione della iniziale epoca gestazionale della donna e in considerazione dell’aumento dei valori dell’ormone BetaHCG, avrebbero dovuto adottare un atteggiamento di cauta attesa con rivalutazione ecografica e ormonale a distanza di 7 giorni, che avrebbe permesso di accertare l’effettivo proseguimento della gravidanza. Tale comportamento, inoltre, avrebbe evitato alla paziente di essere sottoposta ingiustamente all’intervento di revisione della Cavità Uterina, rivelatosi peraltro fortunatamente inefficace, nonché alla terapia medica con Methergin (vasocostrittore usato, come sale dell’acido maleico, in ostetricia e ginecologia per arrestare emorragie uterine) prescritta successivamente al trattamento di RCU”.

Conclusivamente, è stato riscontrato che l’evento in parola ha provocato alla donna “Disturbo Post Traumatico da Stress ad esordio acuto e poi a decorso cronico di grado complicato/grave” […] “in relazione causale, sotto il profilo cronologico, modale, quantitativo e qualitativo alla condotta imperita realizzata dai sanitari nel corso del ricovero del marzo 2007”.

Per tali ragioni viene riconosciuta la responsabilità del Medico e della Struttura.

In favore della donna viene liquidato: euro 125.691,00 (di cui euro 115.791,00 a titolo di danno biologico permanente ed euro 9.900,00 a titolo di danno biologico temporaneo), comprensiva dell’aumento per sofferenza nella misura del 42% in ragione dell’età (42 anni) e della gravità della vicenda vissuta dall’attrice. In favore del marito viene l iquidato l’importo di euro 42.079,00, comprensivo dell’aumento per sofferenza del 31% in ragione dell’età (46 anni) e della gravità della vicenda vissuta dalla donna.

Avv. Emanuela Foligno

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