Non voglio spendere altre parole in quanto penso che nel titolo ci sia il “vangelo” sulla tematica della responsabilità professionale medica.
Insomma il collega sostiene quello che da tempo sostengo, ossia: è l’ignoranza che fa male al sistema sanità e non altro; non serve modificare 20 anni di giurisprudenza per eliminare gli errori, le inefficienze e i contenziosi, ma provare amore per l’insegnamento, spendere la propria vita per lasciare un segno nella società in cui si vive (e l’ospedale dove si lavora è anch’esso società!), fare la rivoluzione per il bene della società.
Invece… si continua a pensare di fare dei medici una casta che che può sbagliare senza pagare per la sola e teorica finalità dell’operato del medico: curare e salvare vite umane!
No, amici colleghi, non è così, in quanto se da un lato sono certo che esistono ancora tanti medici che vivono per “far vivere”, dall’altro sono straconvinto che la professione medica ha subito una brutta trasformazione per la fame di denaro che ha l’uomo e che è riuscita ad inquinare i camici bianchi.
Spero che tutti i lettori di questo quotidiano leggano quanto afferma il collega Dr. Gregorio Maldini su QuotidianoSanità che si riporta integralmente.
Dr. Carmelo Galipò
Medicina difensiva. Ridurre il contenzioso o gli errori medici?
30 GEN – Gentile Direttore,
ho letto con interesse l’intervista all’onorevole Gelli e al rappresentante di Cittadinanzattiva Aceti. Ho letto le dichiarazioni del Dott Piazza sui bisturi spuntati (anche se in realtà credo che lui avesse in mente I robot DaVinci) e ho visto il servizio sulle Iene con l’intervista al sorprendente direttore del collegio dei chirurghi Forestieri. Faccio il chirurgo (chirurgia epatobiliopancreatica) negli Stati Uniti, il paese più litigioso al mondo in campo sanitario.
Ho già espresso le mie perplessità in un intervento precedente su Quotidiano Sanità. La cosa sorprendente è che il legislatore per legge vuole rendere più “sereno” il lavoro del medico. Ma non si affronta invece il problema più importante che non è ridurre le cause civili e penali, ma ridurre (perché eliminare è impossibile) il numero delle complicazioni e decessi in seguito a prestazioni terapeutiche. La maggior parte dei disastri di cui si parla spesso sono dovuti a procedure invasive effettuate male, in ritardo o non effettuate affatto quando invece dovevano essere eseguite. Qual è la ragione di tutto ciò. Scarsa organizzazione e training scadente. I soldi in Italia ci sono ma vengono spesi male.
Andiamo per punti. Come già scritto in precedenza il training dei chirurghi in Italia è pessimo. Forestieri e Piazza in quanto leader ed “anziani” sono tra i responsabili di tutto questo. Sta a loro insegnare in maniera costruttiva ai giovani laureati come operare. Qui non conta se si è ospedalieri o universitari.
Il numero degli interventi eseguiti in prima persona in Italia durante la specialità è semplicemente ridicolo come è ridicola la tipologia di interventi affidata allo specializzando. Nel mio breve periodo in Italia destavo scandalo quando facevo operare in prima persona lo specializzando, stando io dall’altra parte del tavolo anche in interventi complessi. Questa pratica che è routine negli USA è rarissima in Italia.
Ora se il giovane chirurgo esce impreparato perché dovrebbe eseguire interventi rischiosi, soprattutto se pagato pochissimo? In molte occasioni nella vita si valutano i rischi e i benefici delle proprie azioni e qui vengono in ballo i sindacati. Io facevo trapianti di fegato (un intervento che definirei abbastanza complesso) a 20 euro lordi l’ora. Nello stesso ospedale un collega eseguiva nella sala accanto una colecisti in libera professione a 3.000 o più (tremila euro). 5 ore=100 euro. Mezz’ora 3.000. Questo scempio è concesso nel nostro paese. Ma i sindacati non hanno nulla da ridire su un sistema così marcio. Per loro lo stipendio va aumentato in base all’anzianità e non alle effettive capacità individuale. Il concetto di stipendio uguale per tutti andrebbe cancellato completamente.
Andando ai processi organizzativi. Gli interventi complessi e non frequenti dovrebbero essere eseguiti in centri ad alto volume o in centri a basso volume che possano dimostrare di avere gli stessi risultati di quelli ad alto volume. Senza una dimostrazione dei propri risultati è assolutamente non etico sottoporre i propri malati a rischi aggiuntivi senza benefici. In Italia ai malati spesso vengono citati i risultati dei grandi centri non la propria esperienza diretta. Un chirurgo spesso con preparazione marginale si avventura in interventi complessi solo per dire che effettua certe prestazioni. Questo dovrebbe essere impedito.
Questi sono alcuni degli aspetti fondamentali che andrebbero affrontati invece di concentrarsi su come evitare denunce, etc. Ho scritto questi concetti all’Onorevole Gelli senza però avere risposta.
Infine spiego come pratico la mia medicina difensiva. Tutto parte da un training adeguato ricevuto negli USA (oltre 2.000 interventi in prima persona compresi i più complessi). Rispettare ed essere umile e disponibile con i miei pazienti e i loro cari e trattarli come fossero miei familiari (questo prima e non dopo l’insorgere di complicazioni, che capitano anche a me). Per fare ciò 48 ore a settimana non bastano.
Gregorio Maldini
Chirurgo
Honolulu (Usa)
Medicina difensiva: risposta ad un collega
Caro Gregorio come ci siamo già detti molte delle tue perplessità sul mondo sanitario Italiano mi trovano perfettamente in accordo, ma come ebbi a dirti recentemente molte delle tue affermazioni riguardanti la responsabilità medica in Italia sono legate ad un tuo modo di vedere e vivere la sanità che molto riflette la nostra personale comune esperienza giovanile e il tuo vivere la chirurgia in un paese straniero.
Per non “allungare” troppo la mia risposta risponderò a punti come non è mai mia consuetudine ma forse , in questo caso, ben si adatta a renderti più chiara la situazione
1) Giustamente (come vedrai spesso sono d’accordo con te) riferisci la mancata rete formativa dei giovani chirurghi italiani; io , avendo la tua età ho vissuto esattamente ciò che denunci ma il tempo non è più quello di allora e, per fare un esempio, la rete formativa della scuola di specializzazione in chirurgia generale dell’Università statale di Milano diretta dal Prof. Foschi ha saputo coordinare abilmente le strutture periferiche ospedaliere affidando ai primari i compiti necessari al training formativo che tu auspichi e che qui in Lombardia grazie a Foschi si sta realizzando. Egli controlla personalmente la crescita di ognuno degli specializzandi a lui affidati e inviati ad altre strutture e (ne sono testimone) qualora non fossero stati realizzati gli interventi richiesti, il training formativo, le ore in riabilitazione e in pronto soccorso ecco che attua immediatamente la rimozione del primario dal ruolo di professore a contratto e l’invio di quello specializzando ad altra sede. Credimi, caro Gregorio, lo sforzo per cambiare è già in atto da alcuni anni, ma per favore non puoi sempre e soltanto ricordare cosa succedeva in anni lontani e, scusami davvero, mi darai ragione se ti dico che la differenza è tutta nel cuore degli uomini e nella passione che essi pongono nelle loro azioni. Ciò che accade o accadeva in Italia nei confronti di alcuni specializzandi dipendeva e dipende dal cuore di chi è deputato al loro insegnamento ma questo, ne converrai, avviene anche nei tanto celebrati States! Mi trovi ad abbracciarti ed in completo accordo con te sul tema “sindacati” e sono in prima linea nel sorreggere la tesi della necessità assoluta della vera meritocrazia; in Italia e questo è innegabile e triste non è possibile licenziare un chirurgo che “vivacchia” , non si aggiorni e che è in apatia magari ad aspettare la pensione, pieno di diritti acquisiti e difesi ad oltranza dai sindacati
2) Sul punto dei processi organizzativi sono in linea col tuo pensiero
3) Il terzo punto, invece, va analizzato un poco più in profondità. Forse il tanto tempo passato lontano dalle nostre sale operatorie ti determina un quadro completamente scorretto della situazione. Se esiste una persona che è umile e sempre (forse troppo?) disponibile con i pazienti ed i loro familiari vedendo in loro i volti di mio padre e di mia madre è il sottoscritto, ma credo che molti altri come noi appartengano a questo gruppo di cui vado fiero. Ma questo in Italia non solo non è sufficiente ma è spesso (esperienza personale) deleterio. Le persone che mi hanno ferito con denunce ingiuste sono state proprio quelle a cui ho dedicato giorni, notti, festivi senza sosta sia prima che dopo l’intervento e forse proprio questo dato è ciò che mi ferisce di più. Professionalmente mi sento ferito è vero, ma molto molto di più sul lato umano! E questo non solo non è giusto, è ampiamente scorretto; oggi in Italia le complicanze (dici che ne hai anche tu…..chi non ha complicanze se lavora a ritmo serrato, se decide di operare interventi di chirurgia maggiore , se insomma fa il proprio lavoro?) sono trattate come errori personali e nel 90% dei casi risarcite dalle assicurazioni ospedaliere e la corte dei conti te ne chiederà conto….senza che, molte volte, tu sia a conoscenza di come siano state condotte le pratiche e senza che tu abbia la minima possibilità di dire: no , non ci sto! Questa pratica non va risarcita! In Italia, caro Gregorio, esiste ormai la massima “fai causa al medico…è come il maiale….qualcosa poi porti sempre a casa da mangiare!” E’ semplicemente abominevole! Basta osservare il servizio delle Iene sul “lavoro” degli avvocati italiani e di come se ne approfittino anche quando non esiste (e ben lo sanno e il servizio lo denunciava apertamente) nessuna responsabilità perché tu abbia ben più delineata la situazione attuale. E tu mi vieni a parlare di training??? Ma come è possibile donare passione per il lavoro più bello del mondo ad un giovane specializzando che sa benissimo che sarà denunciato anche per il suo resoconto clinico sulla cartella (nell’ambito di una denuncia contro tutti!), come è possibile la formazione quando le scuole di specialità in chirurgia vanno deserte per la paura di contenziosi medico legali e …lo hai detto tu, io non sarei entrato nel merito…..per uno stipendio che nei famosi States sarebbe considerato da morti di fame? Non vale la pena caro Gregorio di fermarsi un istante e riflettere, magari mentre osservi il tramonto alle Hawaii, come sia necessario preservare il futuro dei nostri giovani colleghi e dei pazienti da attacchi giudiziari “ a prescindere” che inducono a scelte errate ma comprensibili di difesa personale. Ancora una nota caro amico…..nei famosi States (a parte il dolo) esiste il penale per atto medico? e mi chiedo, essendo in questo ignorante, hai negli States diritto automatico alla lite temeraria? Perché qui non è conseguenza diretta ! e la tua assicurazione personale , sicuramente di grosso peso economico, quanto incide sul tuo reddito di chirurgo? Non voglio risposta …ma in cambio ti dirò che a me incide per il 15% del mio stipendio annuo!
Concludo dicendo che certamente osservare una tempistica di 48 ore in una pratica come la chirurgia significhi svilirla al rango impiegatizio, che le riflessioni dell’amico Gregorio sulla necessità assoluta di valorizzare la formazione e anche la qualità della chirurgia italiana sono non solo importanti ma di fondamentale richiamo per tutti noi e che la necessità di coltivare ancora il sogno che il mio tempo futuro sia ricco di rapporti umani con i miei pazienti, di grandi interventi, di occhi pieni di gratitudine che incidono molto più dello stipendio per rendere bella la mia vita, sia supportato da vera giustizia . Chiediamo una legge che tuteli il chirurgo contro chi abusa del proprio diritto di rivalsa, una legge che riporti la classe chirurgica al ruolo che gli compete e che permetta al cittadino che si senta danneggiato dal chirurgo di essere sempre tutelato, ma senza permettersi di offenderne ingiustamente la dignità e l’umanità.
Con sincera stima ….e invidia per il luogo in cui vivi ed eserciti
Marco A.Zappa
Direttore Dipartimento di chirurgia generale e d’urgenza Ospedale Fatebenefratelli Erba