L’uomo, in servizio per 13 anni presso un Ospedale del trentino, avrebbe prodotto un falso certificato di laurea arrivando perfino a ricoprire la posizione di primario

Ha esercitato per tredici anni la professione di medico in provincia di Trento, prima come aiuto, poi addirittura come primario del reparto di ostetricia e ginecologia dell’Ospedale di Riva e successivamente come responsabile del modulo organizzativo di Endoscopia ginecologica. Il tutto senza possedere l’abilitazione all’esercizio della professione medica, né tantomeno alcun titolo di laurea.

I Carabinieri del Nucleo anti sofisticazioni avrebbero accertato che il certificato di laurea in medicina e chirurgia prodotto ai tempi della prima assunzione sarebbe in realtà un falso. Il numero identificativo del documento, redatto su carta intestata dell’Università di Bologna, non corrisponderebbe infatti ad alcuna posizione presso l’Ufficio Esami di Stato dell’Ateneo.

Il ‘presunto’ medico, secondo quanto emerso dalle indagini, si era iscritto nell’anno accademico 1969/1970 alla facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali dell’Università di Ferrara per poi passare alla facoltà di medicina e chirurgia dove aveva sostenuto sette esami prima di trasferirsi nel capoluogo emiliano. Nell’ateneo felsineo non avrebbe sostenuto alcun esame tanto da essere dichiarato decaduto dagli studi nel 1984.

I legali dalla difesa hanno avanzato l’ipotesi di uno smarrimento della documentazione nel contesto di un periodo particolarmente caldo e turbolento quale appunto quello delle contestazioni studentesche degli anni ’70. Una tesi, tuttavia, non supportata da alcuna prova, né tantomeno da alcun indizio.

La Corte dei Conti, pertanto, nel rimarcare come lo svolgimento di un’attività professionale ‘sine titulo’, tanto più quella di medico, comporti un implicito pericolo per la salute dei cittadini, ha condannato l’uomo alla restituzione delle somme percepite nel corso degli anni in servizio presso il nosocomio del trentino. Tuttavia, a fronte della richiesta del’Azienda sanitaria locale, che chiedeva la restituzione degli importi lordi dal 1985 al 1998 (circa 790mila euro), il giudice tributario ha riconosciuto alla Asl solamente la sommatoria degli importi netti percepiti, più la rivalutazione e le spese di giudizio, per una cifra complessiva pari a circa 490mila euro.

 

 

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