La sentenza oggetto di questa mia breve disamina è stata pronunciata dalla Corte di Appello di l’Aquila, all’esito della sentenza di condanna per falsità materiale emessa dal G.U.P. del Tribunale di Lanciano, in sede di giudizio abbreviato.

In particolare, nel caso di specie, due infermieri, nella loro qualità di dipendenti dell’ASL Lanciano – Vasto – Chieti, in servizio presso il nosocomio “Renzetti”, venivano sottoposti a processo penale per falsità materiale in quanto nell’ottica accusatoria, in concorso tra di loro, alteravano il prospetto relativo ai parametri indicati nella fase postoperatoria, inserito all’interno della cartella clinica di un paziente ricoverato e poi deceduto dopo meno di 24 ore dall’intervento chirurgico, per la riduzione della frattura del femore.

Invero, veniva contestato agli infermieri la cancellazione, mediante il c.d. “bianchetto”, dei “…dati relativi alla rilevazione eseguita a 48 ore dall’operazione a cui era stata sottoposta la paziente … e riferibili ad un arco temporale in cui la stessa era già deceduta…”, inserendo, peraltro, nel prospetto post operatorio “…valori inattendibili, in quanto rilevati in un momento in cui le stesse non prestavano nemmeno servizio secondo quanto emerso dalla consultazione del prospetto dei turni di servizio del personale infermieristico…”.

Dunque, la Procura della Repubblica contestava agli imputati di aver letteralmente “sbianchettato” i valori dei parametri indicati nella scheda di valutazione post operatoria e trascritto dei valori che l’infermiere non avrebbe mai potuto rilevare (falsità materiale), atteso che i medesimi risultano riconducibili ad orari in cui non prestava servizio presso il sopra citato ospedale.

Ebbene, la Corte di Appello condivideva le motivazioni espresse dal G.U.P., ritenendo il gravame avanzato dagli appellanti privo di fondamento.

In particolare, gli imputati ritenevano innanzitutto che il documento alterato fosse un modulo non compreso nella cartella clinica, bensì nella c.d. “cartella perioperatoria”, per la cui redazione mancavano delle linee guida né era stato istituito un corso di addestramento per gli infermieri.

Pertanto, alla luce della prospettazione difensiva, mancando l’elemento psicologico del reato, essendo agli imputati ascrivibile una condotta meramente colposa, il G.U.P. avrebbe dovuto prosciogliere gli infermieri, con la formula “perché il fatto non costituisce reato”.

Orbene, senza soffermarci sulle altre richieste difensive, analizziamo ora quanto asserito dalla Corte territoriale, con specifico riguardo proprio alla sopra citata doglianza difensiva.

Invero, il Collegio di secondo grado riteneva che il documento alterato costituisce un atto pubblico, essendo parte integrante della cartella clinica e che il medesimo è di semplice interpretazione, per la cui redazione non era affatto richiesta alcuna specifica preparazione.

Pertanto, dall’analisi del modulo in parola, si evince per tabulas che sussistono delle annotazioni che, per contro, non avrebbero dovuto esserci, con la conseguenza che la penale responsabilità dell’imputato per falsità in atto pubblico, affermata dal Giudice di Prime Cure, va altresì confermata nel secondo grado di giudizio.

Avv. Aldo Antonio Montella

(Foro di Napoli)

Leggi anche:

ESCLUSA LA NON PUNIBILITÀ IN CASO DI NEGLIGENZA DEL SECONDO OPERATORE

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui