Non è sufficiente la segnalazione degli effetti collaterali sul bugiardino del farmaco, ma è necessario che l’azienda farmaceutica svolga una costante opera di monitoraggio e di adeguamento delle informazioni commerciali e terapeutiche, al fine di eliminare o almeno ridurre il rischio di eventi dannosi

La vicenda

L’attore convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Bergamo, un’azienda farmaceutica chiedendone la condanna al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, subiti e subendi per effetto della patologia sofferta a seguito dell’assunzione, nel luglio del 2004, di un farmaco per curare una ferita lacero-contusa alla mano destra.

L’attore rappresentò che, in conseguenza dell’assunzione del farmaco, aveva sviluppato una gravissima sindrome, nota come sindrome di Lyell, con grave intossicazione e gravi conseguenze, anche permanenti, sulla salute.

La CTU disposta in giudizio accertò il nesso causale tra l’assunzione del farmaco e la comparsa della sindrome di Lyell, quale complicanza nota della terapia ma non prevedibile nè prevenibile.

In primo grado, il Tribunale di Bergamo ritenuta l’applicabilità alla fattispecie concreta, della disciplina di cui al D.P.R. n. 224 del 1988 in materia di responsabilità extracontrattuale del produttore per prodotti difettosi, rigettò la domanda, affermando che quando anche si volesse ritenere applicabile l’art. 2050 c.c., doveva ritenersi sussistente la prova liberatoria, trattandosi di effetti indesiderati noti, la cui rara possibilità di insorgenza, non poteva certo impedire la distribuzione del prodotto ma avrebbe richiesto – come in effetti ottemperato dalla società distributrice del farmaco – un’adeguata informativa al pubblico dei consumatori tramite l’indicazione nel foglio illustrativo allegato al farmaco, del rischio della sindrome quale possibile effetto collaterale.

La pronuncia della Corte d’Appello di Brescia

La Corte d’Appello di Brescia riformò la sentenza, escludendo l’applicabilità al caso in esame della disciplina di cui al D.P.R. n. 224 del 1988, poi trasfusa nel Codice del Consumo, non potendo  – a sua detta – considerarsi il farmaco in questione, come “difettoso”.

Applicò invece, la disciplina contenuta nell’art. 2050 c.c., affermando che “in presenza di un’attività in sè pericolosa, quale quella della produzione e distribuzione di farmaci, l’ordinamento giuridico pone il rischio della verificazione degli effetti dannosi a carico di chi quel rischio possa effettivamente governarlo, accollando a quest’ultimo il compito di predisporre effettivi strumenti di esclusione dell’evento dannoso o comunque l’esborso economico nell’eventualità di dover risarcire i danni conseguenti al verificarsi di eventi avversi”.

Affermata, dunque, l’applicabilità dell’art. 2050 c.c., condannò la società farmaceutica a risarcire il danno quantificato nella somma di 222.867,00 oltre interessi, rivalutazione e spese di lite.

Orbene, secondo il giudice di merito la circostanza che gli effetti indesiderati, riscontrabili con una percentuale di uno su un milione di casi, fossero segnalati nel foglietto illustrativo, non costituiva prova liberatoria, essendo ignote le cause dello scatenarsi della sindrome; laddove invece, la segnalazione avrebbe escluso la responsabilità dell’esercente soltanto se le cause fossero state note e perciò illustrate, cosicché il consumatore finale avrebbe potuto valutare il rischio dell’assunzione.

In altre parole, in presenza di un farmaco con possibili effetto collaterali di eziologia ignota, anche nella misura di uno su un milione, l’azienda farmaceutica avrebbe dovuto o rinunciare tout court alla produzione e alla commercializzazione del prodotto o comunque accollarsi il rischio economico del risarcimento del danno.

Il giudizio di legittimità

Ma un simile argomento, per i giudici della Suprema Corte di Cassazione (n. 6587/2019), è ben lontano dallo spirito e dall’effettiva portata precettiva dell’art. 2050 c.c. “ non essendo in alcun modo postulabile che la società produttrice debba, a fronte di un effetto indesiderato di cui non si conosce la matrice, optare tra l’assunzione dei rischi connessi agli effetti di una responsabilità di tipo sostanzialmente oggettivo e la rinuncia alla produzione e alla commercializzare del prodotto”.

In realtà, ai fini dello scrutinio relativo alla sussistenza della prova liberatoria di cui all’art. 2050 c.c. (e cioè la prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno), è necessario valutare, da un lato, la rigorosa osservanza di tutte le sperimentazioni e i protocolli previsti dalla legge prima della produzione e della commercializzazione del farmaco (questione nella fattispecie, non controversa); dall’altro l’adeguatezza della segnalazione dell’effetto indesiderato, dovendosi precisare che non una qualunque informativa circa i possibili effetti collaterali del farmaco, è in grado di scriminare la responsabilità dell’esercente, essendo invece necessario che l’impresa farmaceutica svolga una costante opera di monitoraggio e di adeguamento delle informazioni commerciali e terapeutiche, allo stato di avanzamento della ricerca, e dunque, al fine di eliminare o almeno ridurre il rischio di effetti collaterali dannosi e di rendere edotti nella maniera più completa ed esaustiva possibile i potenziali consumatori.

La redazione giuridica

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