Restano ancora bloccate, all’inizio della Fase 2, le attività nei settori  meno sicuri e con lavoratori meno garantiti    

I settori essenziali che riprendono l’attività con l’inizio della cosiddetta Fase 2 sono quelli in cui sono impiegati lavoratori più stabili e meglio retribuiti. Al contrario, i lavoratori nei settori bloccati presentano caratteristiche di maggiore fragilità nel mercato del lavoro (donne, giovani, temporanei, part time, in piccole imprese). Rispetto a quelle rimaste aperte dopo i precedenti provvedimenti, le regioni del nord registrano una quota maggiore di occupati in settori riattivati. Il lavoro nei settori riattivati è caratterizzato da minore vicinanza fisica tra i lavoratori e da una più elevata propensione a lavorare da casa, riducendo il rischio di contagio.

I settori ancora bloccati dopo il 4 maggio sono caratterizzati dalla presenza di lavoratori con meno garanzie. I settori riaperti presentano modalità lavorative che garantiscono minore rischio di contagio: i comparti dove il lavoro è caratterizzato da alta prossimità fisica sono stati riattivati in misura contenuta, o non sono stati riattivati affatto; dove la riapertura è stata più consistente la possibilità di svolgere le mansioni lavorative da casa risulta più elevata.

È quanto emerge da una ricerca che la Direzione centrale Studi e Ricerche dell’Inps e la Struttura Lavoro e Professioni di Inapp hanno condotto congiuntamente allo scopo di evidenziare le differenze individuali e strutturali fra l’insieme dei lavoratori che sono impiegati nei settori essenziali e quelli che operano nei settori ancora bloccati.  

In questi ultimi è cresciuta, rispetto ai lavori bloccati il 22 marzo, l’incidenza dei segmenti fragili presenti nel mercato del lavoro, come le donne (che sono il 56% del totale dei lavoratori bloccati dal 4 maggio), i lavoratori temporanei (48%), i lavoratori part time (56%), i giovani (44%), gli stranieri (20%), i lavoratori impiegati presso piccole imprese (46%). 

Si tratta di lavoratori che hanno livelli medi dei salari annui e settimanali decisamente inferiori rispetto ai lavoratori dei settori considerati essenziali.

Il salario medio annuo in questi ultimi è del 127% più elevato rispetto a quello dei settori bloccati. Se si considera il salario medio settimanale il differenziale è del 43%. La forte differenza fra il salario totale annuo e il salario settimanale è spiegata da una instabilità lavorativa decisamente superiore nei settori bloccati, dove il numero medio di settimane lavorate nell’anno è pari a 19 contro le 31 nei settori essenziali. 

I settori economici che contribuiscono maggiormente ai differenziali evidenziati sono ‘Alloggio e Ristorazione’, con una quota di attività bloccate dell’82%, ‘Attività artistiche e sportive’, totalmente bloccato, e ‘Altre attività di servizi’ (41% di bloccati), settori che mostrano salari medi annuali, settimanali e settimane lavorate di gran lunga inferiori rispetto ai valori nazionali. Per quanto riguarda la distribuzione territoriale, dopo il 4 maggio la quota di occupati in settori riaperti è maggiore nelle regioni e nelle province del nord, soprattutto nel nord ovest. L’incidenza dei settori essenziali è quindi più elevata proprio nelle regioni che hanno registrato una diffusione più elevata del Covid-19, circostanza che può destare preoccupazione. Per contro, nelle grandi città, dove sono maggiori le preoccupazioni per gli spostamenti lavorativi attraverso i mezzi pubblici, si rileva una incidenza minore dei settori riattivati.  

Per quanto concerne gli indici di rischio collegati alle modalità di svolgimento del lavoro, i settori dispensati dal blocco delle attività presentano un livello medio di prossimità fisica nello svolgimento delle mansioni minore rispetto a quello dei settori bloccati, mentre il livello della propensione a lavorare da casa, in smart working, risulta più elevato.

Tali evidenze mostrano che i criteri utilizzati per identificare i settori aperti hanno prodotto una quota di addetti nei comparti riattivati maggiore rispetto al rischio di contagio che il mantenimento delle attività comporta.

I criteri sottostanti le scelte operate si mostrano improntati alla massima riduzione del rischio di diffusione del virus, compatibilmente con la necessità di mantenere aperti alcuni comparti considerati essenziali. Simili evidenze portano a concludere che se da un lato la scelta dei settori che saranno bloccati all’inizio della Fase 2 coinvolge lavoratori che presentano caratteristiche di maggiore fragilità nel mercato del lavoro, dall’altro tale scelta appare supportata dal fatto che i settori bloccati presentano indici di rischio di contagio più elevati, giustificando la maggiore cautela e attesa prima della riapertura più estesa. 

Leggi anche:

REDDITO DI CITTADINANZA: PRESENTAZIONE DOMANDE ANCHE SUL SITO INPS

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui