Confermato il collocamento del minore presso il padre perché la madre impedisce i rapporti padre-figlio, ostacolando la loro relazione
La vicenda
Il ricorrente aveva proposto ricorso al Tribunale per i minorenni di Lecce per sentir provvedere, ai sensi dell’art. 333 c.c., alla riorganizzazione delle competenze genitoriali, con l’esclusione della capacità genitoriale della madre e la disciplina dell’affidamento del figlio, in modo che egli potesse esercitare i diritti previsti dalla legge.
La madre del minore si era costituita in giudizio, resistendo alla domanda e assumendo che il figlio rifiutava la figura paterna per aver assistito a numerosi episodi di violenza posti in essere da quest’ultimo nei confronti della prima. Senonché, al termine del procedimento, il Tribunale per i minorenni disponeva il collocamento di padre e figlio presso un’idonea comunità educativa.
La Corte d’Appello di Lecce confermava la decisione di primo grado, ritenendo che non potevano assumere alcun rilievo i comportamenti penalmente illeciti ascritti dalla madre al padre del minore, in assenza di una pronuncia giudiziaria quanto meno di primo grado.
Il collocamento del figlio presso il padre
La Corte aveva altresì escluso la necessità di disporre una nuova CTU, rilevando che le relazioni degli operatori delle strutture socio-sanitarie coinvolte, pur avendo rappresentato le problematiche personologiche del ricorrente, avevano concordemente evidenziato la necessità di favorire la relazione tra il minore e il padre, in autonomia rispetto alla madre, nonché la sostanziale chiusura di quest’ultima verso ogni progetto di mediazione e recupero della genitorialità, a causa di sentimenti personali di rifiuto nei confronti dell’uomo; aggiungendo che la scelta del regime residenziale del minore con il padre, in luogo di quello con la madre, rappresentava l’unico strumento utilizzabile per stabilire i rapporti tra padre e figlio, trovando giustificazione nella mancata modificazione dell’atteggiamento della donna, che consentiva di escludere la prospettiva di comportamenti resilienti da parte della stessa.
La Corte di Cassazione (Prima Sezione Civile, ordinanza n. 9143/2020) ha confermato la pronuncia della corte d’appello salentina ribadendo che “in tema di provvedimenti riguardanti i figli, il giudizio prognostico da compiere in ordine alla capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione non può in ogni caso prescindere dal rispetto del principio della bigenitorialità, nel senso che, pur dovendosi tener conto del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad assiduo rapporto, nonché della loro personalità, delle consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che ciascuno di essi è in grado di offrire al minore, non può trascurarsi l’esigenza di assicurare una comune presenza dei genitori nell’esistenza del figlio, in quanto idonea a garantire a quest’ultimo una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, e a consentire agli stessi di adempiere il comune dovere di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione del minore (Cass. Prima Sezione n. 9764/2019; n. 9764/2015).
La decisione
A tale criterio si era puntualmente attenuto il decreto impugnato, il quale nell’esaminare le diverse soluzioni ipotizzabili per il collocamento del minore, aveva conferito particolare rilievo all’esigenza di assicurare il recupero del rapporto con il padre, pregiudicato da una lunga interruzione dovuta all’atteggiamento di rifiuto manifestato dalla madre nei confronti dell’ex convivente; in quest’ottica, la Corte territoriale aveva valutato il comportamento tenuto da entrambi i genitori nei rapporti con il figlio e la disponibilità manifestata da ciascuno di essi al superamento della conflittualità in atto tra loro, evidenziando gli effetti potenzialmente pregiudizievoli di tale situazione sull’equilibrato sviluppo del minore ed attribuendo, quindi, la preferenza, tra le varie alternative, al collocamento del piccolo con il padre presso una struttura educativa, ritenuto idoneo da un lato ad evitare il grave condizionamento psicologico determinato dal continuo contatto con la madre, dall’altro a consentire il superamento delle problematiche di tipo personologico manifestate dal padre, attraverso adeguati interventi psicoterapeutici.
Avv. Sabrina Caporale
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