Non è responsabile il titolare dell’officina meccanica per le lesioni subite dalla persona offesa a causa del mancato funzionamento degli airbag, qualora l’attività di riparazione in corso sia stata interrotta per volontà della stessa proprietaria della vettura

La vicenda

Nell’ottobre dell’anno 2011 la persona offesa rimase vittima di un incidente stradale nel corso del quale si attivavano gli airbag. A seguito dell’incidente la donna portò l’autovettura presso l’officina meccanica, di cui all’epoca l’imputata rivestiva la carica di socio amministratore, commissionando il lavoro di sostituzione degli airbag.

Nel frattempo alla donna fu consegnata un’auto di cortesia – l’unica esistente nella officina – che avrebbe dovuto essere restituita, all’atto della conclusione delle riparazioni, perché già prenotata da altro cliente.

Tuttavia alla data convenuta per la restituzione, i lavori di riparazione non erano ancora completati per cause comunque, non imputabili alla officina; ed infatti, non era stato ancora montato il pretensionatore della cintura che, pur regolarmente ordinato presso il fornitore, sarebbe arrivato con un giorno di ritardo rispetto alla data prevista.

Sebbene fosse stata informata dal meccanico che i lavori non erano terminati e che l’airbag non poteva funzionare in mancanza di tale pezzo, la persona offesa decise egualmente di portare via la vettura, rimanendo d’intesa con il meccanico che avrebbe riportato la macchina per il completamento del lavoro.

Alcuni giorni dopo però, ella rimase coinvolta in un altro gravissimo incidente d’auto.

Ebbene, il giudice di pace di Vicenza condannò l’imputata, quale titolare dell’officina, alla pena di 800 euro di multa, poiché ritenuta responsabile del reato di lesioni personali gravissime alla persona offesa, “per colpa generica, consistita nella negligente esecuzione dei lavori di sostituzione degli airbag”; nonché per aver riconsegnato la vettura alla donna in mancanza dei dispositivi di sicurezza (airbag e cinture di sicurezza), pur essendo consapevole che la stessa l’avrebbe adoperata rischiando un incidente; ed inoltre, per aver omesso di vigilare sull’attività dei subalterni.

La Quarta Sezione Penale della Cassazione (sentenza n. 46191/2019) ha cassato la decisione impugnata perché errata in punto di diritto.

La vicenda esaminata, nei suoi sviluppi fattuali, rivelava, infatti, la mancanza di una posizione di garanzia in capo alla imputata.

La posizione di garanzia

È principio indiscusso nel nostro ordinamento che il fatto di non impedire un evento sia causa di responsabilità per l’agente, soltanto nel caso in cui questi abbia l’obbligo giuridico di impedirlo (art. 40 cpv. c.p.).

Si è affermato che, ai fini dell’operatività della cosiddetta “clausola di equivalenza” di cui all’art. 40 cpv. c.p., nell’accertamento degli obblighi impeditivi gravanti sul soggetto che versa in posizione di garanzia, l’interprete debba tenere presente la fonte da cui scaturisce tale obbligo (giuridico) protettivo che può essere la legge, il contratto, la precedente attività svolta, o altra fonte obbligante – e, in tale ambito ricostruttivo, deve altresì, valutare sia le finalità protettive fondanti la stessa posizione di garanzia, sia la natura dei beni dei quali è titolare il soggetto garantito, che costituiscono l’obiettivo della tutela rafforzata, alla cui effettività mira la clausola di equivalenza (così in motivazione Sez. 4, n. 9855 del 27/01/2015).

La ricostruzione della vicenda

Ebbene, nel caso di specie, attese le peculiari caratteristiche della vicenda, il vincolo contrattuale che legava la titolare della officina meccanica alla persona offesa non era suscettibile di generare alcun obbligo di preservare quest’ultima dall’incidente occorsole in seguito al ritiro del veicolo.

Il contratto stipulato tra le parti prevedeva il ripristino della funzionalità degli airbag, ripristino che non era stato tempestivamente portato a termine. La persona offesa, messa al corrente dei mancato completamento della riparazione della vettura, ne pretese egualmente la restituzione.

Tale schematica ricostruzione della vicenda ha consentito ai giudici della Suprema Corte di affermare che l’area di rischio che la titolare della officina era chiamata a governare, in ragione del contratto stipulato, doveva intendersi limitata agli eventi collegati ad una non corretta esecuzione dei lavori necessari per rendere efficiente e sicura la circolazione del veicolo.

La decisione

Nel caso in esame, tuttavia, l’attività di riparazione in corso era stata interrotta per volontà della stessa proprietaria della vettura, la quale, pur essendo stata messa al corrente della circostanza che la riparazione non era avvenuta, aveva chiesto la restituzione della vettura, accettando il rischio di esporsi a pericolo. A ciò doveva aggiungersi che la determinazione di esporsi a pericolo era avvenuta in virtù di un processo volitivo che non era stato in alcun modo alterato o condizionato da false rappresentazioni della realtà.

In altre parole, la fonte della posizione di garanzia assunta dalla titolare dell’officina rispetto alla persona offesa non poteva essere fatta derivare dal contratto stipulato tra le parti, posto che la stessa persona offesa si era esposta ad una situazione di rischio, avendo scientemente richiesto la restituzione della vettura, pur sapendo del mancato ripristino degli airbag.

Per questi motivi, i giudici della Suprema Corte hanno disposto l’assoluzione della imputata per insussistenza del fatto con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.

La redazione giuridica

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