Annullata la sentenza di condanna di una donna che aveva lasciato i cani sul balcone tutta la notte senza impedire che i latrati disturbassero il riposo dei vicini

Se i cani abbaiano tutta la notte, il proprietario non è punibile ex art. 659 c.p. per disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone. Tale principio, tuttavia, vale se la lamentela arriva solo dai vicini e non da più abitanti del palazzo o del quartiere.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione con la sentenza n.16677/2018 annullando la condanna inflitta alla proprietaria di tre cani.

La donna era stata condannata dal Tribunale per non aver impedito agli animali di latrare tutta la notte disturbando il riposo di due condomini. I quadrupedi, nello specifico, erano stati lasciati da soli nel terrazzo del suo appartamento.

La proprietaria dei cani aveva quindi deciso di impugnare la sentenza per cassazione contestando l’inosservanza o l’erronea applicazione della normativa penale.

Secondo la ricorrente, il Tribunale aveva ritenuto integrato il reato sebbene il preteso disturbo fosse stato circoscritto solo ad un isolato episodio durato poche ore. Inoltre, non era stato verificato che a essere vittime del disturbo fosse stato un vasto numero di persone a fronte dei due soggetti denuncianti.

La Suprema Corte ha ritenuto di aderire alle argomentazioni proposte ritenendole fondate.

Gli Ermellini hanno osservato che il reato contestato si può consumare anche con un’unica condotta rumorosa o di schiamazzo.

E’ sufficiente a tal fine che la stessa sia oggettivamente tale da recare un effettivo disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone.

Nel caso in questione, i cani lasciati da soli sul balcone per tutta la notte, avevano latrato per un non trascurabile lasso di tempo. In linea di principio, quindi, la condotta poteva essere considerata idonea a configurare il reato.

Ciononostante, il giudice di primo grado non aveva svolto una adeguata indagine per verificare il fatto.

Ai fini della configurabilità della contravvenzione prevista dalla normativa, infatti, è necessario che i rumori abbiano l’attitudine a propagarsi e a costituire fonte di disturbo per una potenziale pluralità indeterminata di persone.

Il giudice di merito avrebbe dovuto verificare l’esistenza di elementi atti a giustificare la sussistenza di tale attitudine. Un accertamento da svolgere valutando l’intensità di tali rumori e la situazione antropica del luogo ove erano stati emessi.

Nel caso in esame, invece, il Tribunale non aveva fornito alcuno di tali elementi, dando atto soltanto delle lamentele dei due vicini di casa dell’imputata. L’indagine svolta per accertare il reato, dunque, era da ritenersi  “quanto meno inadeguata”. Di qui l’annullamento della sentenza.

 

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