Il diritto all’oblio supera, in un certo senso, quello della tutela della privacy, ma è privo di una normativa specifica che lo regoli

Recentemente, si è tornato a discutere del diritto all’oblio a seguito della sentenza della Cassazione Penale, sez. V, sentenza n. 38747 del 03/08/2017, resa dalla Suprema Corte nella vicenda che vedeva parte in causa il principe di Savoia Vittorio Emanuele.
Nel caso specifico si è trattato della regolamentazione del diritto di stampa (diffusione di notizie) in contrapposizione al diritto all’oblio, esercitato dal Principe di Savoia per la notizia riguardante i fatti risalenti all’uccisione, circa 39 anni fa, del giovane tedesco Dirk Hamer.
Tralasciando la narrazione dei fatti riportati dalla predetta sentenza, in breve, i giudici della Cassazione ritengono non operante in questo caso alcun diritto all’oblio, considerato che il principe di Savoia non è esente da responsabilità sotto il profilo civilistico ed etico e ciò nonostante i giudici francesi (ove si è svolto quel giudizio penale) lo abbiano assolto da ogni accusa.
Dunque, per la Suprema Corte, niente oblio per il Principe: “Il diritto all’oblio sulle proprie vicende personali, che fa capo ad ogni persona, si deve confrontare, invero, col diritto della collettività ad essere informata e aggiornata sui fatti da cui dipende la formazione dei propri convincimenti, anche quando da essa derivi discredito alla persona che è titolare di quel diritto, sicché non può dolersi Savoia della riesumazione di un fatto certamente idoneo alla formazione della pubblica opinione”.
Si afferma, così, il principio che sul diritto all’oblio prevale l’interesse pubblico quando il reato è grave.

Questa sentenza, certamente, farà molto discutere perché sempre la Cassazione, di recente (Giugno 2016), in altre vicende sottoposte al suo vaglio, ha emesso provvedimenti di diverso tenore, garantendo ampia tutela del diritto all’oblio.

Il “problema” del diritto all’oblio sta nella difficoltà di dargli concreta attuazione dato che “concorre” con l’esercizio del diritto di cronaca giornalistica e con l’interesse pubblico alla diffusione della notizia. Un determinato fatto di per sé privato, diventa motivo di cronaca quando è necessario informarne la collettività con tempestività, in modo da far conoscere l’accaduto in tempo reale e con completezza, venendo così coinvolta inevitabilmente la disciplina della tutela della privacy del singolo individuo.
In linea generale, l’oblio è un diritto che in un certo senso supera quello della tutela della privacy, però è privo di una normativa specifica; nasce come conseguenza di varie elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali (Cass., 9/4/1998, n. 3679; Cass., 25/6/2004, n. 11864; Cass., 05/04/2012, n. 5525) italiane e soprattutto delle Autorità Garanti Europee.

Riassumendo, il diritto all’oblio altro non è che il diritto dell’individuo a essere dimenticato; diritto che mira a salvaguardare il riserbo imposto dal tempo ad un notizia già resa di dominio pubblico.

Le difficoltà incontrate nel dare concreta attuazione al predetto diritto, derivano dalla possibilità data dai mezzi informatici di rinvenire la notizia e di darne in maniera autonoma nuova diffusione anche dopo un lunghissimo lasso di tempo dall’accadimento.
In passato ciò non era possibile dato che la diffusione delle notizie avveniva esclusivamente attraverso le testate giornalistiche con la carta stampata (giornali) e/o radio-tv e, così, dopo qualche mese la notizia, salvo casi eccezionali, veniva dimenticata dalla maggior parte delle persone.
Oggi, invece, l’accesso a internet comporta la possibilità per chiunque di attualizzare la notizia, pubblicandola nuovamente, in qualsiasi momento, nonostante che del fatto, in passato, la collettività sia stata informata con completezza, venendo così a cessare l’interesse pubblico alla rinnovata diffusione.
Non essendovi più una notizia da dare, riproporre l’accaduto è inutile, poiché non vi è più un reale interesse della collettività da soddisfare, oltre che dannoso per i “cattivi” protagonisti della vicenda.
E qui viene in rilievo la disciplina prevista dal Codice della Privacy (d.lgs. n. 196/2003), la quale tratta, indirettamente, il diritto all’oblio prevedendo che il trattamento di alcuni dati non sia legittimo, qualora questi siano conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo superiore a quello necessario agli scopi per i quali sono stati raccolti o trattati (art. 11).
L’art. 7, sempre dello stesso codice, tutela il diritto da parte dell’interessato a conoscere in ogni momento chi possiede i suoi dati personali e come li adopera, nonché di opporsi al trattamento dei medesimi, ancorché pertinenti allo scopo della raccolta, ovvero di ingerirsi al riguardo, chiedendone la cancellazione, la trasformazione, il blocco, la rettificazione, l’aggiornamento, l’integrazione.
Il mancato rispetto dei principi posti a tutela del diritto all’oblio ha dato nel tempo vita a un notevole contenzioso con pronunzie giurisprudenziali, come già detto, di vario tenore.
Da ultimo la Suprema Corte ha affermato: “Va confermata la pronuncia di merito che: a) rilevata la facile accessibilità, nel sito web di un quotidiano on line, di un articolo di cronaca relativo a vicenda giudiziaria di natura penale ancora in attesa di definizione, per un periodo di tempo protrattosi dal momento dell’originaria pubblicazione a quello della diffida intimata dagli attori e, dunque, per due anni e mezzo; b) constatata la deindicizzazione dello scritto in data successiva all’inizio del procedimento, con conseguente cessazione della materia del contendere sul punto, abbia giudicato contrario al principio dell’essenzialità dell’informazione il perdurare della disponibilità in rete dell’articolo dopo la diffida e sino alla deindicizzazione, riconoscendo in capo agli attori il diritto alla cancellazione dell’articolo, oltre al risarcimento dei danni. Conferma Trib. Chieti Ortona 16 gennaio 2013 (Cassazione civile, sez. I, 24/06/2016, n. 13161).

È chiaro che la violazione del diritto all’oblio, con l’illecito trattamento dei dati personali, fa sorgere in capo al danneggiato il diritto al risarcimento del danno.

L’illeicità si individua “non già nel contenuto e nelle originarie modalità di pubblicazione e diffusione on line dell’articolo di cronaca e nemmeno nella conservazione e archiviazione informatica di esso, ma nel mantenimento del diretto ed agevole accesso a quel risalente servizio giornalistico pubblicato diverso tempo addietro e della sua diffusione sul Web con conseguente pregiudizio per i soggetti coinvolti”.
Comunque, per quanto riconosciuta, la tutela del diritto all’oblio è di difficile attuazione, dato che la notizia una volta entrata in “rete” è complicato rimuoverla, nonostante le richieste di cancellazione o aggiornamento siano legittime, perché si deve tener conto dei diversi luoghi virtuali in cui tali informazioni compaiono (sito web, sulla copia cache della pagina web, sui titoli della ricerca tramite motore di ricerca utilizzato).
Ognuno di questi “luoghi” virtuali ha un titolare di trattamento diverso con l’aggravante che per i gestori dei motori di ricerca extraeuropei c’è l’ostacolo di quale disciplina applicare.

Dunque, in generale, si configura la lesione del diritto all’oblio quando la diffusione della notizia “temporalmente” non risponde più a un reale interesse pubblico che ne ha giustificato e legittimato la diffusione all’epoca dei fatti narrati mancando, oggi, un’attuale esigenza informativa.

Oltre al Codice della Privacy del 2003, più di recente il diritto all’oblio è indirettamente tutelato dal Regolamento Europeo Sulla Protezione Dei Dati Personali (n. 2016/679), il quale all’art. 17 afferma che l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali.
Ciò avviene se sussiste uno dei motivi seguenti: a) i dati non sono più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o altrimenti trattati; b) l’interessato ritira il consenso su cui si basa il trattamento e non sussiste altro motivo legittimo per trattare i dati; c) l’interessato si oppone al trattamento dei dati personali e non sussiste alcun motivo legittimo prevalente per procedere al trattamento; d) i dati sono stati trattati illecitamente; e) i dati devono essere cancellati per adempiere un obbligo legale previsto dal diritto dell’Unione o degli Stati membri cui è soggetto il titolare del trattamento; f) i dati sono stati raccolti relativamente all’offerta di servizi della società dell’informazione.
Inoltre, sempre l’art. 17 chiarisce che il titolare del trattamento, se ha reso pubblici dati personali ed è obbligato a cancellarli, tenendo conto della tecnologia disponibile e dei costi di attuazione, prende le misure ragionevoli, anche tecniche, per informare i responsabili del trattamento che stanno trattando i dati della richiesta dell’interessato di cancellare qualsiasi link, copia o riproduzione dei suoi dati personali.
Per concludere, va tenuto presente che in queste vicende riguardanti la tutela e l’esercizio del diritto all’oblio viene spessissimo in rilievo l’attività svolta da Google (motore di ricerca diffusissimo) al quale viene concretamente poi chiesta la rimozione totale dei contenuti per i quali gli utenti hanno fatto domanda di cancellazione.

Il risarcimento del danno (spesso si tratta di notevoli importi) chiesto dagli interessati nei vari Tribunali è stato, talvolta, riconosciuto anche a carico dei motori di ricerca che non hanno ottemperato correttamente alla disciplina prevista.

Sul punto Google ha sostenuto a sua discolpa che “bisogna trovare un equilibrio tra il diritto alla privacy e la libertà di espressione” e “che tali rimozioni non vanno al di là dell’Europa e nei Paesi con leggi diverse in materia”.
Google, infatti, ritiene che la cancellazione dei risultati della ricerca possibile sui siti europei (come Google.de in Germania e Google.fr in Francia, ecc.), per altri Stati può configurare un pericoloso precedente sulla portata territoriale delle leggi nazionali.
Lo stesso consulente globale della privacy di Google, Peter Fleischer, ha avuto modo di chiarire, a seguito di diversi contenziosi che vedono coinvolto anche Google per la mancata eliminazione totale (da tutta la rete) della notizia “incriminata”, quanto segue: “Sin dal 2014 ci siamo impegnati per implementare in modo attento e completo in Europa quanto previsto dalla sentenza sul diritto all’oblio.
Negli ultimi 18 mesi, abbiamo difeso l’idea che ciascun Paese debba poter bilanciare libertà di espressione e privacy nel modo che ritiene più opportuno, e non nel modo scelto da un altro Paese. E lo stiamo facendo perché vogliamo assicurarci che le persone abbiano accesso al contenuto che è legale nel loro Paese. Continueremo a sostenere la nostra causa di fronte alla Corte di Giustizia Europea».
Vedremo in futuro quale “ampiezza” anche territoriale di tutela si riuscirà a riconoscere al legittimo diritto all’oblio.
 

Avv. Fabrizio Cristadoro

(Foro di Messina)

 
 

- Annuncio pubblicitario -

LASCIA UN COMMENTO O RACCONTACI LA TUA STORIA

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui