L’imputato sosteneva di aver agito, in preda a una crisi di astinenza, nella consapevolezza di esercitare un preteso diritto, ritenendo che i soldi ricevuti servissero per acquistare la droga e non al fine di procurarsi un ingiusto profitto

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7250/2020 ha chiarito il confine tra il reato di rapina e quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona. I Giudici Ermellini si o sono pronunciati, nello specifico, sul ricorso presentato da un uomo che era stato condannato, in sede di merito, a un anno e sei mesi di reclusione, nonché al pagamento di una multa da 1000 euro per aver aggredito verbalmente la madre, in preda a una crisi di astinenza, al fine di ottenere i soldi necessari all’acquisto di droga.

L’uomo, nel ricorrere per cassazione eccepiva che la Corte territoriale non avesse derubricato il fatto in esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona, con una motivazione apparente e contraddittoria.  L’imputato, infatti, aveva agito nei confronti della madre “nella consapevolezza di esercitare un preteso diritto”, ritenendo che i soldi ricevuti servissero per acquistare la droga e non al fine di procurarsi un ingiusto profitto.

La Suprema Corte, tuttavia, ha ritenuto di rigettare il ricorso perché proposto con motivi infondati.

La Corte territoriale, secondo i Giudici di Piazza Cavour, con specifica per quanto sintetica motivazione, aveva infatti correttamente escluso la configurabilità, nel caso di specie, del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, previsto dall’art. 393 cod. pen. Tale illecito è  ravvisabile solo quando l’agente sia animato dal fine di esercitare un diritto: pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, essa non può essere del tutto arbitraria ovvero sfornita di una possibile base legale.

In particolare – specificano dal Palazzaccio – l’elemento di differenziazione fondamentale tra il delitto di rapina e quello di esercizio arbitrario risiede nell’elemento soggettivo, che per quest’ultimo reato consiste nella ragionevole opinione dell’agente di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli competa giuridicamente, mentre per la rapina si concretizza nel fine di procurare a sé o ad altri un profitto ingiusto con la consapevolezza che quanto si pretende non compete e non è giuridicamente azionabile. Tale circostanza, nella fattispecie considerata, era ben nota all’imputato, “non essendo ovviamente azionabile la richiesta di denaro finalizzato all’acquisto di sostanza stupefacente”.

La redazione giuridica

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