La legge 104/92 è sicuramente una delle leggi cardine cui si fa riferimento quando si parla di agevolazioni per il caso di disabilità.
E’ notorio anche come l’applicazione della legge sia oggetto di un profondo dibattito tra i  soggetti a vario titolo coinvolti, costituito di proposte di modifica, inchieste giornalistiche, proteste e di un ampio contenzioso nei Tribunali. Questo vale in particolar modo per i permessi connessi all’art. 33 della legge.
Pronunce di vario tipo e livello continuano infatti ad occuparsi della questione, sia per affermare il diritto che per limitare – come nel caso di specie –  gli abusi che purtroppo si verificano quando si fa un uso improprio di questi benefici sociali. Abusi più o meno inconsapevoli, ma pur sempre tali.
La Corte di Cassazione si è recentemente espressa a proposito con la sent. n. 54712/2016. Vediamo in che senso.  La sentenza, ha ad oggetto il caso in di una lavoratrice che aveva utilizzato i permessi della 104 come fossero giorni di ferie, andando letteralmente in vacanza, con ogni evidenza senza il suo assistito.
Buona parte dei commenti, finora pubblicati, sottolinea come con tale ultima sentenza si sia eliminato il requisito della assistenza continuativa:  sia permesso di dire che non sembra certo questa la ratio che fonda questa decisione della corte di legittimità.
A  modesto avviso di chi scrive è invece vero esattamente il contrario, essendo stato confermato il reato di truffa per chi – assentandosi dal lavoro usufruendo dei permessi di cui è parola, usi quei tre giorni per viaggiare, disinteressandosi della persona che necessita assistenza.
La soluzione data al caso concreto si pone – confermandola – sulla falsariga della giurisprudenza di legittimità precedente che aveva già provveduto a chiarire il significato della locuzione assistenza continua, non come attenzione h24 ma consentendo la presenza di periodi di assistenza e periodi di attesa (cfr. Cass. SL 16619/2011)
La semplice lettura della sentenza in commento consente infatti di continuare a qualificare per assistenza continua quella che il lavoratore presta nei giorni in cui lavora e quindi l’assistenza che presta dopo l’orario di lavoro (al netto dell’orario di lavoro stesso, nel quale non può prestare assistenza alcuna).
L’assistenza rimane quindi il perno centrale della questione da risolvere: anche nei giorni in cui si goda del permesso, rimanendo il lavoratore libero di graduare l’assistenza secondo orari e modalità flessibili e il più possibile concordate in primo luogo con la persona disabile. La norma non limita l’assistenza al solo orario di lavoro rigidamente considerato, ma apre a che la programmazione dell’assistenza non escluda che vi possano essere momenti che l’assistente possa dedicare a se stesso, ciò perché l’interesse primario è quello della persona con disabilità di ricevere comunque assistenza e aiuto all’integrazione.
Ciò che fa scattare la rilevanza penale del comportamento è il fatto di non prestare assistenza alcuna al titolare del diritto, ma di usare tale permesso per un viaggio che non può consentire di mantenere quel rapporto stretto con la persona da assistere.
Per ciò che qui interessa, incidentalmente occorre considerare che ai sensi dell’art. 640 c.p. la truffa è il tipico delitto fraudolento contro il patrimonio, è la frode per eccellenza. La peculiarità del delitto in parola consiste nell’inganno da parte del truffatore con il quale una persona viene indotta a compiere un atto che può essere sia positivo che negativo, da tale comportamento si ha una diminuzione del patrimonio della “vittima”, con profitto di chi agisce o dell’agente.
Resta da capire, nella fattispecie che ci occupa, chi sia il truffato, se il datore di lavoro, l’INPS o la persona con disabilità, senza pretesa alcuna di completezza si può ragionevolmente ipotizzare un reato plurilesivo, poiché nei confronti di ognuno dei soggetti nominati si possono individuare gli “artifizi e raggiri” da parte dell’autore del reato necessari alla qualificazione del reato.
Infatti il lavoratore beneficiario dei permessi riconosciuti dalla Legge 104 ha diritto di assentarsi dal lavoro per fornire assistenza al parente disabile grave. L’assistenza deve essere non solo garantita, ma anche continuativa ed esclusiva da parte dei titolari dei permessi.
In particolare, quindi, il permesso dal lavoro che il lavoratore richieda, deve essere volto all’esclusivo supporto materiale e morale del soggetto disabile. Allo stesso modo, non è giustificato un permesso assistenziale nel caso ci sia già altro soggetto idoneo a prestare assistenza che si occupi del parente: il permesso non è riconosciuto qualora l’apporto che dovrebbe dare il lavoratore de quo è interamente sostituito da quello fornito da altri.
Tuttavia, non necessariamente la presenza di badanti comporta l’esclusione dal godimento del beneficio, purché il contributo esterno sia accessorio rispetto a quello del parente.
Dunque, chiunque non utilizzi il permesso dal lavoro a favore dell’assistenza del disabile commette il reato di truffa, e si conferma che non è possibile l’uso dei permessi come giorni di ferie pur che sia, per vacanze o permanenze all’estero.
Peraltro, secondo la Corte, il fatto che l’assistenza debba essere esclusiva e continuativa, non significa che il lavoratore sia tenuto ad assistere il malato obbligatoriamente tutta la giornata. Infatti, egli potrà sempre –come già argomentato-  ritagliare del tempo per se stesso, che altrimenti non avrebbe, dedicandosi a lavoro e ad assistenza familiare.
Questo sempre che non venga pregiudicata la situazione del disabile, e che le commissioni svolte nel proprio interesse non comportino un allontanamento eccessivo dalla residenza del disabile.

Avv. Silvia Assennato

Foro di Roma

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