Il paziente, di anni 81 all’epoca dei fatti, veniva accompagnato presso il P.S. a causa di dolore a carico dell’arto inferiore sinistro insorto tre ore prima. Dalla CTU è emerso, in sintesi, che l’errore è consistito nell’incompletezza di indagini diagnostiche.
Il caso clinico
Nel sospetto di ischemia acuta dell’arto interessato veniva richiesta una consulenza chirurgica vascolare. Durante la visita si registrava la presenza di “…Piede pallido, livido e freddo, gamba fresca, coscia calda. Polso femorale epopliteo normosfigmici…” dato clinico in netto contrasto con le risultanze dell’angio-TC eseguita nel post-operatorio che documentava un “aneurismapopliteo di 45 mm trombizzato”. Inoltre, nel diario clinico non veniva specificato il grado di ischemia.
Il chirurgo vascolare decideva di effettuare un doppler delle arterie periferiche (arterie tibiale anteriore, tibiale posteriore ed interossea), all’esito del quale veniva evidenziata l’assenza dei flussi sanguigni dei vasi arteriosi tibiali. Tuttavia, non veniva eseguito un esame ecocolordoppler arterioso degli arti inferiori né un’angio-TC/RMN, per meglio definire il quadro clinico e programmare l’intervento chirurgico, previo ricovero del paziente.
Sulla scorta del solo accertamento doppler delle arterie periferiche veniva posta indicazione all’intervento chirurgico, eseguito lo stesso giorno 06/07/2012. Il giorno dopo, a seguito di un’angio-TC di entrambi gli arti inferiori si rilevava “…Aneurisma completamente trombizzato dell’arteriapoplitea del DM di 45 mm. con assenza di opacizzazione dell’arteria tibialeanteriore, posteriore ed interossea”.
L’aggravamento delle condizioni del paziente
L’8 luglio si registrava un aggravamento delle condizioni cliniche generali del paziente ed una progressione dell’evento ischemico acuto tali da rendere necessaria l’esecuzione di un’amputazione sovragenicolare dell’arto inferiore sinistro. Il 10/07/2012 un esame RX del torace metteva in evidenza un versamento pleurico basale destro che successivamente (20/07/2012 e 25/07/2012) si espandeva anche all’emitorace (sede medio-basale) sinistro. Il 11/07/2012 veniva accertata la presenza di una “… minimasoffusione emorragica in sede extra assiale in rapporto ad una circonvoluzioneparietale dx associata ad igroma bilaterale”.
Dopo alcuni giorni il paziente risultava positivo all’Escherichia coli ESBL, come risultante dall’urinocoltura del 16/07/2012 e pertanto veniva disposta una terapia antibiotica, poi modificata: In data 17/07/2012 veniva segnalata la fuoriuscita di materiale purulento dalla ferita chirurgica e dalla sede dell’intervento di embolizzazione. Il 19/07/2012 dalla ferita chirurgica venivano isolati i batteri Pseudomonas aeruginosa, Escherichia coli ESBL ed Enterococcus faecalis e il 21/07/2012 veniva confermata la positività del moncone sinistro e dell’accesso chirurgico inguinale alla Pseudomonas aeruginosa e all’Enterococcus faecalis. Il 03/08/2012 veniva sospesa la terapia antibiotica, che riprendeva il 9/08/2012.
Il giorno 23/08/2012 i medici sottoponevano nuovamente il paziente ad intervento chirurgico ma le condizioni subivano un netto peggioramento fino al decesso.
La CTU e l’incompletezza delle indagini diagnostiche.
Dalla CTU è emerso, in sintesi, che l’errore è consistito nell’incompletezza di indagini diagnostiche.
Quanto alla scelta del trattamento: “L’arteriotomia sulla arteria femorale comune praticata nel corso dell’intervento urgente aveva scarse probabilità di successo. La letteratura scientifica in merito specifica che la trombectomia per via femorale opoplitea al di sopra del ginocchio ha poche chance di successo in relazione alla presenza di trombi nell’AP e nei vasi di deflusso. Una arteriotomia “periferica” per l’esplorazione del tronco arterioso tibio peroniero e a. tibiale post, sarebbe stata indicata. Ciò avrebbe permesso di stimare il salvataggio dell’arto ischemico contrattamento terapeutico appropriatamente pianificato in circa il 90% dei casi. Un più approfondito ed appropriato approccio diagnostico intra operatorio (06/07/2012) avrebbe consentito di mettere in evidenza l’aneurisma popliteo e lo stato della circolazione periferica (aa. Poplitea e tibiali) ed avrebbe potuto permettere una terapia più mirata ed efficace in grado di salvare, con più probabilità che non, l’arto evitando l’amputazione e l’alto rischio di mortalità che essa comporta. “
Quanto alla esecuzione del trattamento: “La linea di condotta terapeutica adottata (trombectomia femorale) aveva molto poche probabilità di successo in presenza di un aneurisma popliteo, ed ha infatti portato inevitabilmente ad una scelta obbligata di amputazione, 48 ore dopo, quando le lesioni ischemiche si erano ulteriormente aggravate e rese irreversibili.
La non adeguata rivascolarizzazione dell’arto ha portato alla sua amputazione, a distanza di 48 ore, con conseguente aumentato rischio di morte a 30 giorni. Il decorso post operatorio è stato complicato da una infezione nosocomiale scarsamente responsiva alla terapia. La causa di morte è da mettere in relazione ad un insieme di condizioni (diabete, patologia cardiovascolare e cerebro vascolare) che hanno interagito con la infezione nosocomiale che riconosce la amputazione dell’arto inferiore come causa facilitante. Con più probabilità che non il mancato riconoscimento all’atto del primo intervento della presenza di un aneurisma popliteo è stato il primum movens della catena di avvenimenti che hanno condotto a morte il soggetto in esame.”
Le comorbidità del paziente
Il Consulente ha anche specificato che la presenza di 4-5 comorbidità, per la vittima, ha aumentato la probabilità di mortalità di circa 7 volte. La mortalità a 30 giorni e ad 1 anno è stata 30% e rispettivamente 54%, un paziente con 4-5 comorbidità aveva 7 volte la probabilità di morire entro 30 giorni rispetto ad un paziente con una sola comorbidità.
Ebbene, oltre alla incompletezza delle indagini diagnostiche e la mancata esecuzione di una arteriografia intraoperatoria, che avrebbe permesso il salvataggio dell’arto, anche la scelta del trattamento è stata errata, perché l’arteriotomia sull’arteria femorale aveva scarse possibilità di successo in relazione alla presenza di trombi nell’AP e nei vasi di deflusso.
Pertanto, un più approfondito ed appropriato approccio diagnostico intraoperatorio avrebbe consentito di mettere in evidenza l’aneurisma popliteo e lo stato della circolazione periferica e salvare, con più probabilità che non, l’arto evitando l’amputazione e l’alto rischio di mortalità che essa comporta.
Accertata la responsabilità dei convenuti, per la liquidazione del danno il Tribunale tiene in considerazione le comorbilità evidenziate dai CTU, applicando una riduzione del 40% ai valori tabellari (Tribunale Roma – sentenza 7 marzo 2024, n. 4444).
Avv. Emanuela Foligno