L’Inps era stato condannato a corrispondere i ratei di indennità di accompagnamento a una cittadina che aveva richiesto il riconoscimento del requisito sanitario utile a conseguire l’assegno mensile di invalidità civile

Con la sentenza n. 24952/2021, la Cassazione si è pronunciata sul ricorso dell’Inps contro la sentenza di condanna, in sede di merito, a corrispondere a una donna riconosciuta invalida nella misura dell’84% i ratei di indennità di accompagnamento. Il Tribunale aveva dato atto, nel corpo della motivazione, che la ricorrente aveva richiesto, introducendo il procedimento di cui all’art. 445 bis c.p.c., il riconoscimento del requisito sanitario utile a conseguire l’assegno mensile di invalidità civile e che andavano condivise le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte, l’Istituto previdenziale deduceva:

  • violazione e falsa applicazione degli artt.1 e 3 legge n.18/80 e degli artt.7 e 8 legge n.533/73, in relazione all’art. 360 co.1 n. 3 c.p.c, per aver il tribunale condannato l’Inps a corrispondere l’indennità di accompagnamento pur in assenza di domanda amministrativa.
  • violazione dell’art. 112 c.p.c. per aver il tribunale pronunciato su un petitum non dedotto in causa ed omesso di decidere su quanto effettivamente richiesto in giudizio.
  • violazione e falsa applicazione dell’art.445 bis c.p.c. per aver il tribunale pronunciato sentenza di condanna al pagamento della prestazione dell’indennità di accompagnamento.
  • contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione della sentenza, in relazione all’art. 360 primo comma n. 4) c.p.c., per avere la sentenza impugnata, in motivazione, riconosciuto il diritto della ricorrente all’assegno di invalidità civile e, nel dispositivo, condannato invece l’INPS al pagamento dell’indennità di accompagnamento.

Gli Ermellini hanno tuttavia ritenuto inammissibili i motivi di doglianza.

In base alla giurisprudenza di legittimità, infatti, “nel rito speciale del lavoro, in caso di contrasto tra motivazione e dispositivo, deve attribuirsi prevalenza a quest’ultimo che, acquistando pubblicità con la lettura in udienza, cristallizza stabilmente la decisione assunta nella fattispecie concreta, mentre le enunciazioni della motivazione incompatibili con il dispositivo devono considerarsi come non apposte ed inidonee a costituire giudicato”.

Tale insanabilità – proseguono dal Palazzaccio – “può tuttavia escludersi quando sussista una parziale coerenza tra dispositivo e motivazione, divergenti solo da un punto di vista quantitativo, e la seconda, inoltre, sia ancorata ad un elemento obiettivo che inequivocabilmente la sostenga”.

“Può anche darsi il caso – si legge ancora nella sentenza – che il contrasto si risolva in una fortuita divergenza tra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza; in tale caso esso può essere percepito e rilevato ictu oculi, senza bisogno di alcuna indagine ricostruttiva del pensiero del giudice, il cui contenuto resta individuabile ed individuato senza incertezza” e può dar luogo ad errore emendabile con la procedura della correzione di errore materiale.

Solo il contrasto insanabile tra motivazione e dispositivo della sentenza, quindi, poiché non consente di individuare la statuizione del giudice attraverso una valutazione di prevalenza di una delle contrastanti affermazioni contenute nella decisione, non può essere eliminato con il rimedio della correzione degli errori materiali determinando, sul punto, la nullità della pronuncia ai sensi dell’art. 156 c.p..c., comma 2.

Nel caso di specie, la divergenza tra il contenuto della motivazione – riferito alla questione devoluta in giudizio della sussistenza dello stato di invalidità necessario ad ottenere l’assegno di invalidità civile – ed il dispositivo che accertava l’invalidità civile nella misura dell’84% unitamente alla condanna al pagamento dei ratei dell’indennità di accompagnamento, prestazione neanche oggetto del giudizio introdotto con il procedimento previsto dall’art.445 bis c.p.c., consentiva di comprendere il contenuto della statuizione che non poteva che riferirsi al solo accertamento dello stato invalidante necessario per ottenere l’assegno di invalidità civile ai sensi della legge n. 118/1971, unica prestazione di cui si discuteva.

La redazione giuridica

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