L’indennità sostitutiva di preavviso spetta anche alla lavoratrice che si dimette entro il primo anno dalla data di ingresso nella sua famiglia del figlio adottivo, a prescindere dal motivo delle dimissioni e, quindi, anche nell’ipotesi in cui esse risultino preordinate ad una nuova occupazione

La vicenda

Il tribunale di Firenze aveva accolto, in primo grado la domanda di una dottoressa, già dirigente medico presso una Asl, relativa al pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso per dimissioni rassegnate entro il primo anno dalla data di ingresso nella sua famiglia del minore dalla stessa adottato, secondo quanto previsto dalla D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 55, comma 1 e 3.

Nel corso dell’anno immediatamente successivo all’ingresso in famiglia del figlio adottivo, era tuttavia, emerso che la ricorrente avesse lavorato, in forma autonoma, attraverso sostituzioni periodiche di altri professionisti medici, oltre che all’interno dell’ambulatorio medico gestito dalla sorella attraverso una società di cui, in un secondo momento, la stessa divenne anche accomandante.

Si era pertanto, opposta l’Asl sostenendo che, in virtù di tale circostanza, la dottoressa avrebbe dovuto dimostrare la minor vantaggiosità, sul piano patrimoniale e non patrimoniale, della nuova sistemazione.

Il giudizio di legittimità

Argomento quest’ultimo, che è stato smentito dalla corte d’appello di Firenze, sostenendo che l’art. 55 del D.Lgs. n. 151 del 2001, prevedendo l’indennità quale forma di indennizzo per un mutamento lavorativo da presumersi attuato in funzione della indispensabile cura della prole, ritenuta dalla lavoratrice incompatibile con la conservazione del posto di lavoro sino a quel momento occupato, non consenta valutazioni rispetto alla maggiore o minore vantaggiosità di scelte lavorative alternative attuate dalla dipendente in esito alle dimissioni, “in quanto ciò implicherebbe non disinteressati apprezzamenti del datore di lavoro svincolati da criteri obiettivi e certi e peraltro, di impossibile predeterminazione”.

Tale argomentazione è stata infine, condivisa dai giudici della Sezione Lavoro della Cassazione che con la sentenza in commento (sentenza n. 16176/2019), hanno confermato la decisione impugnata, rigettando in via definitiva il ricorso dell’Asl.

L’ art. 55, comma 1 e 3 del D.Lgs. n. 151/2011 prevede tout court, al verificarsi delle condizioni in essa previste (dimissioni nel periodo da essa considerato), il diritto della madre a ricevere le “indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento” e quindi, per quanto qui interessa, un’indennità pari a quella prevista in sostituzione del preavviso.

Ciò sulla base di un’insindacabile favor per la madre dimissionaria, i cui costi sono destinati a gravare sul datore di lavoro, secondo una logica di evidente stampo solidaristico (art. 2 Cost.), finalizzata alla tutela della maternità e della formazione della famiglia (art. 31 Cost.).

Il principio di diritto

Al riguardo, è stato già affermato il condivisibile principio secondo cui “in caso di dimissioni volontarie nel periodo in cui opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice madre ha diritto, a norma del D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 55, alle indennità previste dalla legge o dal contratto per il caso di licenziamento, ivi compresa l’indennità sostitutiva del preavviso, indipendentemente dal motivo delle dimissioni e, quindi, anche nell’ipotesi in cui esse risultino preordinate all’assunzione della lavoratrice alle dipendenze di altro datore di lavoro” Cass. 3 marzo 2014, n. 4919; Cass. 24 agosto 1995, n. 8970; Cass., 22 ottobre 1991, n. 11164).

Tale assetto di interessi incontra soltanto il limite generale, dell’abuso del diritto; tale abuso – hanno chiarito gli Ermellini – certamente non è radicato in sé dal reperimento di nuova occupazione.

Al rigetto del ricorso ha fatto seguito la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.

La redazione giuridica

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