L’infedeltà coniugale legittima il risarcimento del danno non patrimoniale solo se, per le modalità con le quali è realizzata, provochi la violazione di un diritto costituzionalmente protetto, come quello alla salute o all’onore o alla dignità personale dell’altro coniuge (Cassazione civile sez. III, Ordinanza n. 6598 del 7 marzo 2019)
Un uomo cita in giudizio la moglie, il di lei amante e il datore di lavoro chiedendo il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dall’infedeltà della donna che avrebbe ottenuto avanzamenti di carriera proprio a causa della relazione extraconiugale.
Sia in primo che in secondo grado le domande venivano respinte e l’uomo ricorre in Cassazione lamentando il respingimento della richiesta di risarcimento del danno per la violazione dell’obbligo di fedeltà e l’errata esclusione di qualsivoglia pregiudizio alla salute o alla dignità e al decoro.
La Suprema Corte si pone in continuità con il consolidato indirizzo giurisprudenziale dell’ultimo decennio che riconosce la risarcibilità per la violazione dei doveri matrimoniali solo quando ne derivi “al di là della soglia della ordinaria tollerabilità” un effettivo pregiudizio a un diritto costituzionalmente protetto conformemente alla lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. che colloca il danno non patrimoniale nell’alveo del danno conseguenziale.
Detto in altri termini “al dovere di fedeltà non corrisponde un diritto nell’altro coniuge di per sé dotato di garanzia costituzionale”.
La redazione giuridica
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