L’ex infermiera di Lugo Daniela Poggiali è stata assolta e scarcerata dalla Corte d’Appello di Bologna, ecco le motivazioni della sentenza

A quasi due mesi dall’assoluzione dell’ex infermiera di Lugo Daniela Poggiali vengono rese note le motivazioni della sentenza della Corte di Appello di Bologna.
Il giudice estensore Piero Messini D’Agostini (presidente della Corte era il collega Alberto Pederiali) ha depositato 70 pagine. Il giudice ha inquadrato la decisione presa a Bologna alla luce dei risultati della perizia medico-legale disposta proprio in appello sulla base dei motivi aggiunti portati dal nuovo difensore dell’imputata, l’avvocato Lorenzo Valgimigli.
La 44enne ex infermiera dell’ospedale Umberto I di Lugo, nel ravennate, era stata condannata in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di una sua paziente, la 78enne Rosa Calderoni morta l’8 aprile 2014 a poche ore dal ricovero.
“È una sentenza molto perentoria”, dichiara all’Adnkronos l’avvocato Valgimigli.
“Se qualcuno poteva pensare, prima di leggere le motivazioni, che i giudici della Corte d’Appello avessero prosciolto Daniela Poggiali per un dubbio ragionevole, si sbagliava, perché si è ottenuta la certezza dell’innocenza”, continua il legale.

Le motivazioni della sentenza

Nelle motivazioni della sentenza che assolve l’ex infermiera di Lugo si fa riferimento ai tempi della morte della paziente,  che “non sono compatibili con quelli da somministrazione di una dose letale di potassio, che l’avrebbe uccisa molto più rapidamente”.
Secondo i giudici, inoltre, la causa del decesso “può essere inquadrata in un fenomeno naturale, vedi verosimile scompenso glicemico”.
 
Per quanto riguarda le statistiche sui decessi in corsia,  il giudice ha riportato una relazione dell’Ausl datata aprile 2014.
“Nei primi tre mesi degli anni 2102, 2013 e 2014”, si legge, “non emersero significative differenze in termini di mortalità fra un reparto e l’altro”.
Nelle motivazioni sono state fortemente criticate anche le “indagini fai da te del personale ospedaliero”. Tra queste, il recupero tra i rifiuti il deflussore che è sempre stato attribuito alla defunta paziente. Al suo interno era stata isolata una forte concentrazione di potassio.
Anche l’eventuale depistaggio tra campioni di sangue è stato scartato come possibilità logica, sia alla luce della relazione peritale che delle capacità infermieristiche della Poggiali.
Quest’ultima “era certamente una persona per certi versi disturbata, capace di condotte riprovevoli, e di mentire, ma nel contempo scaltra e pronta”.
Ovvero per depistare avrebbe potuto compiere un’operazione “ben più semplice di quella ipotizzata dai magistrati di primo grado” come “far uscire il liquido dal deflussore”.

Critiche al consulente dell’accusa

Da ultimo è stato vagliato il metodo utilizzato dal professor Tagliaro, consulente dell’accusa, per determinare la concentrazione di potassio dall’umor vitreo della paziente prelevato dai bulbi oculari a 56 ore dal decesso. Un metodo per il quale “non esiste consenso adeguato all’interno della comunità scientifica”.
Anzi, “un metodo sconosciuto alla medicina forense, che non risulta essere mai stato utilizzato in altro processo”.
 
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