Una sentenza della Cassazione ha fornito maggiori chiarimenti sulla responsabilità del datore di lavoro in caso di infortunio sul lavoro di un proprio dipendente

In caso di infortunio sul lavoro, il comportamento del lavoratore che per colpa abbia contribuito al verificarsi dell’evento lesivo non esclude la responsabilità penale del datore di lavoro ove emerga che questi non abbia correttamente adottato e fatto rispettare le prescrizioni anti-infortunistiche.
I giudici di Piazza Cavour con la sentenza 14.9.2017 n. 48951 che qui si commenta hanno avuto buon agio nel confermare la sussistenza dell’obbligo – gravante in via esclusiva sul datore di lavoro – di garantire la conoscenza ed il rispetto delle norme antinfortunistiche volte per loro natura a neutralizzare le conseguenze di comportamenti eventualmente imprudenti da parte dei lavoratori.
Il principio richiamato è fondamentale in quanto si ridà forza all’obbligo del datore di lavoro di fare tutto quanto sia possibile per garantire la tutela e la salute dei lavoratori.
I meccanismi concreti attraverso cui questa garanzia si esplica sono i più vari, vuoi attraverso automatismo e verifiche periodiche degli standard di sicurezza presenti, ma non può tacersi del fatto che si tratta di un comportamento minimo cui è necessario attenersi per ridurre al minimo – non essendo immaginabile un azzeramento – i rischi da infortunio sul lavoro.
La tematica in oggetto merita di essere nuovamente approfondita per poter adeguatamente apprezzare il principio per cui: il lavoratore deve essere protetto anche da se stesso. Ciò consente di escludere in radice che il datore di lavoro possa essere tenuto integralmente esente da responsabilità.
Sappiamo come la colpa vada accertata in concreto, individuando le regole di condotta generica o specifica, che si assumono violate e verificando di conseguenza la sussistenza dei presupposti di prevedibilità ed evitabilità del fatto dannoso, una volta che questo si sia effettivamente verificato.
La sentenza in commento non fa altro che confermare la tendenza della giurisprudenza lavoristica prevalente sul punto, per cui negli infortuni sul lavoro rimane a carico del datore di lavoro la prova dell’esistenza tanto del fatto materiale che delle regole che si assumono violate, cosi come la prova della circostanza per la quale il comportamento tenuto dal lavoratore fosse contrario a clausole contrattuali, a norme inderogabili di legge ovvero – da ultimo – a correttezza e buona fede alle misure di sicurezza adottate obbligatoriamente nell’esercizio della specifica impresa.
A ben vedere con tale ultima sentenza in commento, sembra essersi fatto un ulteriore avanzamento che prende le mosse dalla affermazione: “nel campo della sicurezza sul lavoro gli obblighi di vigilanza che gravano sul datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente nei confronti della propria incolumità (potendosi) escludere l’esistenza del rapporto di causalità solo ed unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità del comportamento umano e che suddetta abnormità abbia originato l’evento lesivo.
Si impone quindi un comportamento ante evento che ha una sua specifica rilevanza.
Deve sottolinearsi come in molti casi come nel presente, ciò che si contesta al titolare della principale posizione di controllo, nello specifico proprio il datore di lavoro, non è tanto la violazione di un obbligo di vigilanza astrattamente considerato quanto, piuttosto l’aver consentito ed anche a volte favorito l’instaurazione di prassi lavorative improntate al lassismo e comunque della scarsa conoscenza e osservanza delle norme antinfortunistiche, comportamenti tollerati che giustificano un livello di disattenzione diffuso e protratto anche per lunghi periodi di tempo, spesso nell’ottica del contenimento dei tempi di lavoro e quindi dei costi di produzione.
La circostanza di fatto di aver instaurato una prassi lassista in cui la sicurezza sul lavoro è concretamente lasciata alla preparazione,alla scaltrezza ed alla coscienza dei singoli lavoratori, non esclude – questo continua a dirci la Cassazione – la responsabilità del datore di lavoro. Il datore di lavoro è infatti tenuto a prevedere tutti i rischi che gravano sulla salute e sulla sicurezza del lavoratore in quanto tale, con responsabilità non delegabile ai sensi di legge.
Le conseguenze della disciplina di cui al Dlgs 81/2008 è che l’inosservanza di norme cautelari costituisce colpa specifica gravante sul datore di lavoro.
In sintesi per avere una aderenza adeguata al dettato normativo il compito del datore di lavoro è quello di controllare, sempre e comunque pur trattandosi di un compito molto articolato che va dalla formazione dei lavoratori sul tema degli specifici rischi presenti sul luogo di lavoro, predisposizione delle misure di sicurezza, e sulla vigilanza continua, congrua ed effettiva circa l’osservanza delle misure.
E’ stato detto, a mente dell’argomentato della sentenza, che l’unico elemento utile alla rottura del nesso causale e quindi all’esclusione integrale della responsabilità del datore di lavoro è da rinvenirsi nel comportamento abnorme ed imprevedibile tenuto dal prestatore ma, come si qualifica un comportamento di tal fatta? In negativo si consideri che non integra comportamento abnorme il compimento, da parte del lavoratore, di un’azione che non risulti eccentrica rispetto alle mansioni assegnate nell’ambito del ciclo produttivo.
Ciò che realmente conta per il corretto inquadramento comportamentale la considerazione della prevedibilità ovvero dell’imprevedibilità del comportamento del lavoratore che può aversi anche quando si discuta di attività connesse alla attività lavorativa considerata principale.
L’ipotesi tipica di comportamento abnorme è quello del lavoratore che, volontariamente e con coscienza, ponga in essere un’attività del tutto estranea al processo produttivo o alle mansioni attribuite, pur se il problema si pone con maggiore rilevanza nell’ipotesi di quei comportamenti istintivi o frutto di imprevedibili distrazioni che vengono in generale addebitati al datore di lavoro proprio perché considerati prevedibili perlomeno in fase di predisposizione dei mezzi di sicurezza.
In conclusione, se è difficile rinvenire casi di totale esenzione da responsabilità del datore di lavoro è anche necessario evitare che una posizione di garanzia si trasformi suo malgrado in un’ipotesi di responsabilità oggettiva, attribuendo il giusto peso al concetto di comportamento abnorme ed imprevedibile.
Nell’opinione di chi scrive l’unica via percorribile per minimizzare l’incidenza degli infortuni sul lavoro sta nella formazione e in una forma di vigilanza corretta e continua che non può prescindere da un corretto grado di informazione.
 

Silvia Assennato – Avvocato in Roma

 
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