Intervento chirurgico in ritardo e pancreatite acuta emorragica necrotica

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I Giudici di merito condannano il Policlinico Umberto I di Roma a risarcire i danni derivanti dal decesso del paziente causati dal ritardato trattamento chirurgico della complicanza (pancreatite acuta emorragica necrotica) sorta a seguito di Colangio-Pancreatografia-Retrograda-Endoscopica (CPRE), disposta per la diagnosi e la terapia di una calcolosi della colecisti e del coledoco.

Il paziente veniva ricoverato per una calcolosi colecisto-coledocale

Il paziente veniva ricoverato per una calcolosi colecisto-coledocale. Era stato sottoposto a Colangio RM e a Colangio-Pancreatografia-Retrograda-Endoscopica (CPRE), ma questo esame era stato sospeso per intolleranza del paziente all’incannulamento nel canale duodenale. Fin dal giorno successivo era comparso un quadro di “pancreatite acuta emorragica”, che era stata trattata con terapia a base di somatostatina; veniva poi eseguita una Colangio RM che aveva evidenziato una falda di versamento; la TC aveva evidenziato notevole aumento di volume del pancreas con falda di versamento e vaste raccolte fluide in sede periepatica.

I sanitari decidevano di trattare chirurgicamente la pancreatite acuta necrotica emorragica riscontrando “notevole quantità di liquido libero in addome francamente emorragico”; in tale occasione il pancreas era stato trovato “edematoso con aree di necrosi diffuse non ancora in fase di colliquazione”.

Si era quindi proceduto a necrosectomia delle piccole aree già colliquate. Proseguendo l’emorragia, si era reso necessario un nuovo intervento: in tale occasione si era riscontrata la presenza di circa 3800 cc di sangue libero nella cavità peritoneale che era stato aspirato; il pancreas era stato trovato sanguinante e il colon era apparso necrotico in più punti; erano stati inoltre riscontrati grossi coaguli nel douglas.

Le precarie condizioni del colon avevano reso necessaria una ileostomia. La notte successiva si era verificato un nuovo episodio emorragico, che aveva reso necessario il posizionamento di due clips metalliche al bulbo duodenale; la successiva resezione di materiale necrotico era stata quindi chiusa con sistema VAC; nei 3 giorni successivi erano stati effettuati altri interventi per sostituzione del sistema VAC, ma le condizioni generali del paziente erano progressivamente peggiorate fino alla morte.

I Giudici di Appello hanno considerato la CTU medico-legale svolta in primo grado e quella rinnovata in secondo grado.

I sanitari hanno ritardato colpevolmente l’intervento

Riassunto l’iter clinico, i Giudici di appello, condividendo le conclusioni dei Consulenti, per un verso, hanno osservato che la pancreatite acuta emorragica necrotica (malattia con rilevante tasso di mortalità) non era la patologia per la quale la vittima era stata ricoverata, la quale (calcolosi colecisto-coledocale) non aveva invece un significativo rischio di decesso; piuttosto, la grave patologia insorta a seguito della Colangio-Pancreatografia-Retrograda-Endoscopica (CPRE) aveva costituito una complicanza di tale trattamento diagnostico-terapeutico della precedente non grave patologia. Per altro verso, hanno rilevato che i sanitari avevano ritardato colpevolmente nell’effettuare il necessario trattamento chirurgico della complicanza: ciò, infatti, avrebbe dovuto essere eseguito immediatamente, all’esito degli esami diagnostici (che avevano già evidenziato il quadro emorragico e necrotico) mentre l’inerzia aveva determinato l’aggravamento dell’emorragia e della necrosi del pancreas, così provocando le ulteriori complicanze successivamente verificatesi, che avevano condotto a morte il paziente.

In tal senso hanno confermato il giudizio già espresso in primo grado circa la sussistenza della responsabilità dell’azienda sanitaria e la quantificazione del risarcimento dei danni subiti dai congiunti del paziente deceduto, correggendo soltanto l’errore materiale contenuto nel dispositivo della stessa sentenza, in relazione alla duplicazione dell’importo liquidato in favore del coniuge.

Il ricorso in Cassazione

Il Policlinico Umberto I invoca l’intervento della Corte di Cassazione denunziando errata interpretazione della rinnovata CTU ed errata liquidazione delle spese legali di soccombenza.

Concentrandosi sulla censura inerente il merito, la decisione di secondo grado, in sostanza, viene censurata per avere affermato la responsabilità del Policlinico Umberto I di Roma, richiamando le argomentazioni formulate nella CTU espletata in grado di appello. Il Policlinico sostiene, peraltro, che la CTU rinnovata in appello – diversamente da quella di primo grado, sulla quale si era fondata la decisione di prime cure (e diversamente da quanto riportato in sentenza) – avrebbe concluso affermando la responsabilità solo nei limiti della perdita di chance di sopravvivenza e non a titolo di danno biologico, con evidenti riflessi sul quantum liquidato. Il CTU, infatti, avrebbe concluso nel senso che “un più tempestivo intervento chirurgico di necrosectomia pancreatica avrebbe aumentato le chances di sopravvivenza nella misura del 40%”.

La censura non è fondata. I Giudici di merito hanno accertato la circostanza incontroversa che la patologia trattata chirurgicamente non era quella per cui il paziente era stato ricoverato, ma era una complicanza insorta nel trattamento della prima.

La nozione di “complicanza” è irrilevante ai fini della presunzione di cui all’art. 1218 c.c.

La Cassazione ribadisce il principio che la nozione di “complicanza” è irrilevante ai fini della presunzione di cui all’art. 1218 c.c. (la quale può ritenersi superata solo ove si verifichi in concreto il carattere imprevedibile e inevitabile dell’evento così qualificato, sì da integrare gli estremi della causa non imputabile).
Pertanto non essendo stata provata tale causa dal Policlinico, l’inadempimento del medico, rispetto al quale valutare il nesso causale materiale con l’evento di danno (il decesso del paziente) andava individuato non solo nel ritardo nella gestione della complicanza ma, prima ancora, nella sua stessa verificazione.

Inoltre, quand’anche l’inadempimento fosse consistito soltanto nella “ritardata esecuzione del trattamento chirurgico” della pancreatite acuta emorragica necrotica, tuttavia tale ritardo, secondo le conclusioni della CTU, avrebbe causato l’evento di danno con una probabilità del 60%, posto che l’intervento tempestivo avrebbe consentito al paziente di sopravvivere con una probabilità del 40%.

Dunque, correttamente la Corte d’appello ha ritenuto provato il nesso causale tra l’inadempimento dei sanitari e il decesso del paziente, procedendo alla liquidazione dai danni sofferti dai prossimi congiunti.

Non si può discorrere di perdita di chance poiché l’accertamento ha riguardato un illecito strutturalmente costituito da un nesso causale non certo (probabilisticamente accertato) e da un evento di danno certo.

Il ricorso viene integralmente rigettato (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 25 giugno 2024, n. 17507).

Avv. Emanuela Foligno

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