Accolto il ricorso dell’Inps contro il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento a una invalida ultrasessantacinquenne “in grado di compiere i più significativi atti quotidiani della vita”

Con la sentenza n. 13917/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso presentato dall’Inps contro la decisione con cui il Giudice di merito, in sede di procedimento ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c, aveva dichiarato una donna invalida civile ai fini del conseguimento del diritto alla indennità di accompagnamento ed ai benefici di cui alla legge n. 104/1992 art. 3 co.3, con decorrenza dalla domanda amministrativa, condannando l’Istituto a corrispondere la predetta indennità, oltre ai ratei già maturati, con interessi legali e rivalutazione monetaria. Il Tribunale aveva richiamato l’esito dell’indagine peritale svolta nel corso del giudizio. Nel rivolgersi alla Suprema Corte l’Ente previdenziale deduceva che il Giudice avrebbe erroneamente dichiarato il diritto alle prestazioni in favore dell’invalida ultrasessantacinquenne e condannato l’Inps richiamando la CTU, pur avendo, quest’ultima, accertato una situazione di assenza delle condizioni utili alle prestazioni; inoltre, avrebbe riconosciuto il diritto alle suddette prestazioni, in assenza delle prescrizioni dettate dalla normativa.

Gli Ermellini hanno ritenuto di aderire al ricorso in quanto fondato.

Entrambe le censure miravano, dunque, a evidenziare il contrasto tra esiti dell’accertamento medico legale e decisione del Tribunale. Come sì evinceva dall’indagine peritale, il cui contenuto era stato correttamente riportato nel ricorso in esame, la beneficiaria della prestazione risultava “invalida ultrasessantacinquenne con grave difficoltà a svolgere le funzioni e i compiti propri della sua età nella misura percentuale del 100% ai soli fini della assistenza sociosanitaria con decorrenza 7.7.2016 ai sensi dell’art. 6 del d.lvo n. 509/88 e dell’art. 5 co.7, del d.lvo n. 134/98”, poiché era “persona in grado di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore” e non necessitava di “assistenza continua essendo in grado di compiere i più significativi atti quotidiani della vita”.

Anche con riguardo allo status di handicap la ctu aveva riconosciuto minorazioni determinative di “condizioni di cui all’art. 3 comma l della legge n. 104/92”, dunque diverse da quelle invocate (status di handicap di cui all’ad 3 comma 3). Entrambe le condizioni accertate nell’elaborato peritale risultavano pertanto differenti rispetto alla determinazione del tribunale che, pur richiamando l’esito dell’accertamento medico legale, aveva poi, in concreto, statuito diversamente da quello, senza addurre motivazione alcuna in merito ad una diversa scelta decisionale. Quest’ultima, oltre che incoerente, risultava quindi adottata in assenza delle condizioni medico legali richieste per le prestazioni riconosciute.

La redazione giuridica

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