Investito, no alla personalizzazione del danno non patrimoniale

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Respinto il ricorso di un cittadino, investito da un veicolo rimasto non identificato, in ordine alla personalizzazione della liquidazione del danno non patrimoniale, nella specie del danno morale

Aveva agito nei confronti della compagnia assicurativa designata dal Fondo di Garanzia per le Vittime della Strada per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenti alle lesioni subite per essere stato investito da un veicolo rimasto non identificato.

Il Tribunale gli aveva riconosciuto  il risarcimento del danno non patrimoniale per invalidità temporanea e per invalidità permanente, liquidando, per quest’ultima, la somma di € 56.804,00 in relazione sia al danno biologico che a quello morale.

Il Giudice aveva altresì disposto il rimborso delle spese mediche, mentre aveva negato il risarcimento in relazione al lucro cessante per perdita di premi di produzione e di altre occasioni di guadagno in relazione alla mancata conclusione di contratti in ambito lavorativo. Escluso, inoltre, che le lesioni avessero influito sulla capacità lavorativa specifica, dal momento che l’attore era divenuto, in epoca successiva al sinistro, amministratore delegato della società di cui in precedenza ricopriva l’incarico di responsabile commerciale.

Anche in sede di appello, la Corte territoriale aveva confermato la sentenza di primo grado, escludendo che spettassero all’appellante ulteriori importi a titolo di personalizzazione del danno non patrimoniale e, altresì, che ricorresse una riduzione della capacità lavorativa specifica.

L’attore proponeva, quindi, ricorso per cassazione eccependo, tra gli altri motivi, che la Corte territoriale avesse erroneamente escluso che nel caso di specie si potesse operare una personalizzazione della liquidazione del danno non patrimoniale, nella specie del danno morale, sulla base dell’assunto, anch’esso erroneo, per cui non si sarebbe trattato di una lesione tale da violare i diritti fondamentali della persona umana. Più specificamente, lamentava che la Corte di Appello si fosse limitata alla considerazione delle sole conseguenze lesive espressive degli aspetti dinamico-relazionali del danno biologico accertato, trascurando del tutto gli aspetti e la dimensione soggettiva della sofferenza ad esso conseguente.

La Suprema Corte, con la sentenza n. 8391/2020, ha ritenuto il motivo inammissibile per difetto di specificità, in quanto non illustrava adeguatamente come fosse stata formulata la richiesta di risarcimento del danno morale, al fine di connotare profili di pregiudizio diversi da quelli correlati al danno biologico.

I Giudici Ermellini hanno chiarito che, in base della giurisprudenza di legittimità, è ormai pacifico che al danno morale possa riconoscersi autonoma consistenza laddove esprima profili di pregiudizio (il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione) non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente.

Tuttavia,  deve ritenersi che, al fine di prospettare correttamente un’erronea pretermissione di tali profili, sia necessario che il ricorrente deduca di avere specificamente lamentato pregiudizi soggettivi non aventi diretta base organica e tali da comportare la necessità di una liquidazione ulteriore rispetto a quella risultante dall’applicazione delle c.d. tabelle milanesi; tale esigenza di specifica connotazione del danno morale – che, nel caso in esame, si imponeva ancor più per il fatto che la sentenza pareva ricondurre il danno morale a profili dinamico-relazionali qualificati come di danno esistenziale – non risultava soddisfatta dall’illustrazione del motivo.

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