La fattura non solo ha efficacia probatoria contro l’emittente, che vi indica la prestazione e l’importo del prezzo, ma può costituire piena prova nei confronti di entrambe le parti dell’esistenza del corrispondente contratto

Una volta che la fattura commerciale sia stata portata a conoscenza del destinatario, l’accettazione non richiede formule sacramentali, potendosi anche esprimere per comportamenti concludenti.

La vicenda

L’attore chiedeva e otteneva dal Tribunale di Verona, nei confronti del convenuto, ingiunzione di pagamento della somma di Euro 131.589,85, richiesta, in forza di fatture commerciali, quale corrispettivo della vendita di materiali di ricambio per auto.

La società convenuta proponeva opposizione deducendo, a sostegno della stessa, che fra le parti era intervenuto un accordo in forza del quale questa avrebbe ricevuto i materiali di ricambi (di cui parte attrice aveva intenzione di disfarsi a seguito della interruzione dei rapporti commerciali con le case madri) per poi procedere, a seguito di verifica degli stessi, alla rottamazione di quelli non più commerciabili e alla vendita della eventuale rimanenza, con suddivisione in parti uguali del ricavato.

Chiedeva inoltre, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto inter partes, qualificato come deposito, per grave inadempimento della convenuta opposta, con la condanna di quest’ultima al ritiro della merce e al pagamento delle spese di custodia.

Il tribunale rigettava l’opposizione.

Il primo giudice rilevava che le fatture erano state singolarmente sottoscritte per accettazione; che tale sottoscrizione non era spiegabile con un errore degli addetti allo scarico della merce; e che, in ogni caso, l’opponente non aveva fornito la prova della diversa natura dell’accordo in forza del quale era avvenuta la consegna.

La Corte d’appello di Venezia, riformava la sentenza.

Per i giudici di secondo grado le fatture commerciali, anche se annotate nei libri obbligatori, non costituivano prova del credito. Inoltre, nel caso in esame, non ricorreva neppure l’ipotesi della loro accettazione, perché la firma apposta sulle fatture non recava alcuna precisazione in ordine alle ragioni della sua apposizione; ed inoltre, la firma proveniva da un magazziniere, privo di potere di rappresentanza, il che induceva a riconoscere che essa non avesse altro significato se non quello di mera conferma della corrispondenza dei materiali consegnati a quelli elencati nelle fatture.

In base a tale considerazione, la corte accoglieva l’opposizione, così rigettando la richiesta di pagamento formulata con la domanda monitoria.

I giudici dell’appello avevano, in altre parole, fatto applicazione del principio di diritto secondo cui “la fattura commerciale, avuto riguardo alla sua formazione unilaterale ed alla funzione di far risultare documentalmente elementi relativi all’esecuzione di un contratto, si inquadra fra gli atti giuridici a contenuto partecipativo, consistendo nella dichiarazione, indirizzata all’altra parte, di fatti concernenti un rapporto già costituito, sicché, quando tale rapporto sia contestato, non può costituire valido elemento di prova delle prestazioni eseguite ma, al più, un mero indizio” (Cass. n. 9593/2004; n. 15383/2010; n. 299/2016).

Ma a giudizio degli Ermellini, essi non avevano considerato che la fattura non solo ha efficacia probatoria contro l’emittente, che vi indica la prestazione e l’importo del prezzo, ma può costituire piena prova nei confronti di entrambe le parti dell’esistenza di un corrispondente contratto, allorché risulti accettata dal contraente destinatario della prestazione che ne è oggetto (Cass. n. 15832/2011; n. 13651/2006; n. 23494/2994).

Una volta, infatti, che la fattura sia stata portata a conoscenza del destinatario, l’accettazione non richiede formule sacramentali (Cass. n. 10860/2007), potendosi anche esprimere per comportamenti concludenti.

La giurisprudenza

A riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha anche precisato che “pur non rientrando le annotazioni del registro IVA nella disciplina dettata dall’art. 2709 (secondo cui i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore) e dall’art. 2710 c.c. (il quale stabilisce che i libri bollati e vidimati nelle forme di legge, quando sono regolarmente tenuti, possono formare prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa) per i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione, esse possono costituire idonee prove scritte dell’esistenza di un credito, giacché la relativa annotazione con richiamo alla fattura da cui nasce, costituisce atto ricognitivo in ordine ad un fatto produttivo di un rapporto giuridico sfavorevole al dichiarante, stante la sua natura confessoria ex art. 2720 c.c.” (Cass. 3383/2005; n. 32935/2018).

Ebbene, nel caso in esame era pacifico che la merce fosse stata consegnata insieme alle fatture e che queste recassero la firma da parte di colui che l’aveva ricevuta.

I giudici dell’appello avevano, tuttavia, negato l’eventualità dell’accettazione in base al duplice rilievo che la firma apposta sulle fatture non indicasse la causa della sua apposizione e che provenisse da soggetto privo del potere di rappresentare la società.

Ma la Corte di Cassazione (Seconda Sezione Civile, ordinanza n. 26801/2019) ha affermato che tali rilievi, esclusivamente formali, non erano di per sé sufficienti ad escludere l’accettazione delle fatture portate a conoscenza del destinatario, mancava inoltre, qualsiasi verifica circa la registrazione delle fatture nel registro Iva.

Per tutti questi motivi la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla corte di merito per l’ulteriore corso.

Avv. Sabrina Caporale

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