La scoperta italiana sulla cura di linfomi e leucemie rivoluziona le informazioni sui neutrofili e la loro azione sulle cellule tumorali
La copertina del numero di maggio di Blood, la più prestigiosa rivista scientifica al mondo in campo ematologico, è dedicato ad uno studio condotto dall’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo che offre un contributo importante alla conoscenza del meccanismo di azione degli anticorpi monoclonali terapeutici anti-CD20, rituximab e obinutuzumab, farmaci di ultima generazione usati per il trattamento di linfomi e leucemie di tipo B.
Lo studio, condotto nel Laboratorio “Lanzani” e coordinato da Josee Golay, è dedicato al ruolo dei neutrofili, parte integrante del nostro sistema immunitario, che vengono attivati dai nuovi anticorpi monoclonali.
Hanno partecipato allo studio anche Martino Introna del Laboratorio “Lanzani” per l’ASST Papa Giovanni XXIII e Irene Cattaneo e Marina Figliuzzi per l’istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri.
Il lavoro ha messo in dubbio le precedenti informazioni secondo le quali i neutrofili sono in grado di eliminare direttamente le cellule tumorali in presenza di anticorpi monoclonali. Secondo i ricercatori bergamaschi invece rimuovono solamente una parte, l’antigene target, senza tuttavia uccidere completamente le cellule.
“Gli anticorpi monoclonali terapeutici sono farmaci di nuova generazione e il loro meccanismo di azione è solo parzialmente conosciuto – ha spiegato in una nota la ricercatrice JoseeGolay -. Si sa che questi anticorpi eliminano le cellule neoplastiche grazie soprattutto alla loro capacità di attivare il sistema immunitario e in particolare i neutrofili. Il nostro lavoro ha permesso però di aggiungere un importante tassello, soprattutto rispetto alla loro capacità di sviluppare un meccanismo di resistenza ai nuovi farmaci”.
“Capire il meccanismo di azione degli anticorpi terapeutici ci aiuterà a capire perché alcuni pazienti non rispondono alle cure e quindi a sapere in anticipo quale strategia terapeutica è meglio adottare, in base alle caratteristiche della malattia e del paziente – ha spiegato Alessandro Rambaldi, professore ordinario di Ematologia all’Università Statale di Milano e direttore del Dipartimento di oncologia ed ematologia del Papa Giovanni XXIII -. Sono informazioni preziose per non sprecare tempo in tentativi inutili e scegliere la cura più appropriata al singolo caso”.
I primi risultati ottenuti promettono di aprire interessanti strade per l’applicazione clinica. Prima però sarà necessario attendere ulteriori conferme e nuovi studi, su cui il gruppo di ricerca di Josee Golay sta già lavorando.