L’omessa acquisizione del consenso informato al trattamento sanitario dà luogo a un danno non patrimoniale (diritto alla autodeterminazione) risarcibile autonomamente in favore del paziente, a prescindere dal pregiudizio alla salute.

Il consenso deve essere acquisito in modo da lasciare al paziente il tempo di rifiutare eventualmente il trattamento, pertanto non è sufficiente la descrizione dell’esame diagnostico, durante il suo svolgimento, finalizzata ad ottenere dal paziente la collaborazione necessaria per eseguire l’esame stesso.

Questo è quanto ha stabilito la Terza Sezione Civile della Suprema Corte con la sentenza n. 17022 depositata il 28 giugno 2018 (principio di autodeterminazione).

I fatti

Una paziente avanza una richiesta risarcitoria nei confronti dell’Azienda Ospedaliera in cui era stata sottoposta ad uno studio elettrofisiologico trans-esofageo. Durante l’esame si verificava un ictus cerebrale che le causava gravi postumi psicofisici permanenti.

La donna lamentava il fatto che l’esame fosse stato effettuato in assenza di consenso informato e della previa terapia anticoagulante, routine ritenuta necessaria dalle linee guida proprio al fine di scongiurare il rischio di ictus cerebrale.

In primo grado la domanda risarcitoria trovava solo parziale accoglimento e la decisione veniva impugnata presso la Corte territoriale di Perugia, che pur estendendo gli obblighi risarcitori alla struttura sanitaria convenuta, non accoglieva tuttavia integralmente l’impugnazione.

La paziente proponeva ricorso per Cassazione, affidato a diversi motivi, mentre l’azienda ospedaliera resisteva con controricorso e proponeva, a sua volta, ricorso incidentale.

Gli Ermellini hanno accolto solo alcuni dei motivi formulati dalla ricorrente principale ed hanno totalmente rigettato il ricorso incidentale.

L’omessa acquisizione del consenso informato…

La pronuncia è di particolare interesse soprattutto in virtù del fatto che ripercorre i tratti fondamentali dell’istituto del consenso informato.

In primis, la Corte ha ribadito che il danno non patrimoniale è risarcibile unicamente nei casi previsti dalla legge, ossia, secondo l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., così come inaugurata con le famose sentenze San Martino rese a Sezioni Unite nel 2008, nelle seguenti ipotesi:

1) fatto illecito astrattamente configurabile come reato;

2) previsione legislativa espressa ad hoc;

3) fatto illecito che violi i diritto della persona costituzionalmente garantiti, come individuati caso per caso dal giudice.

In base a tanto, la Suprema Corte ha riaffermato che la libertà di autodeterminazione costituisce un diritto inviolabile della persona tutelato dagli artt. 32 e 13 della Costituzione, che prevedono, rispettivamente, che nessuno può essere obbligato ad un trattamento sanitario se non per disposizione di legge e che la libertà personale è inviolabile.

… lede un diritto costituzionalmente protetto

L’omessa acquisizione del consenso informato al trattamento sanitario comporta, secondo gli Ermellini, la lesione di un diritto costituzionalmente protetto, quale appunto la libertà di autodeterminazione, da cui scaturisce un danno non patrimoniale risarcibile in via autonoma.

La Corte di Cassazione ha ribadito che la violazione dell’obbligo informativo a carico del medico, può dar luogo a due pregiudizi distinti:

  1. a) un danno alla salute, qualora il paziente dimostri che, se compiutamente informato, avrebbe rifiutato l’intervento e così evitato le relative conseguenze dannose;
  2. b) un danno da violazione del diritto all’autodeterminazione in sé, quando il paziente, a causa dell’omessa informazione, subisce un pregiudizio diverso dalla lesione alla salute ed a prescindere da esso.

Ed ecco allora come gli Ermellini hanno motivato la loro decisione:

1) hanno ritenuto errata la decisione della corte territoriale nella parte in cui non riconosce, in favore della paziente, il diritto al risarcimento del danno derivante dalla lesione del diritto all’autodeterminazione, basandosi sulla circostanza che il trattamento sanitario, per il quale era stato omesso il consenso, non solo era necessario ma era anche stato correttamente eseguito;

  • hanno dichiarato la violazione da parte del giudice di secondo grado del principio devolutivo nella parte della sentenza in cui aveva sostituito d’ufficio il parametro per la liquidazione del danno patrimoniale, così come individuato dal giudice di prime grado nel triplo della pensione sociale, applicando il diverso criterio del reddito della paziente (sul punto la Cassazione ha sottolineato che il criterio di liquidazione del danno patrimoniale costituiva un capo autonomo della sentenza, che non era stato oggetto di gravame e, pertanto, coperto dal giudicato);
  • hanno cassato la sentenza della Corte territoriale anche nella parte in cui si era discostata dai valori di cui alle Tabelle del Tribunale di Milano, liquidando un’indennità giornaliera inferiore ai minimi ivi previsti per l’invalidità biologica temporanea, ma non indicando le circostanze che avrebbero potuto eventualmente giustificare la riduzione. La Cassazione ha, infatti, ribadito che le Tabelle milanesi rappresentano un parametro di conformità della valutazione equitativa del danno e, quindi, nel caso in cui il giudice voglia discostarsene deve adeguatamente motivare sul punto.

4) hanno rigettato il motivo con cui la ricorrente aveva censurato il capo della sentenza di secondo grado che non aveva stabilito l’invalidità permanente nella maggior misura individuata dalla CTU disposta in grado d’appello ed hanno invece confermato ciò che era stato accertato dalla CTU disposta in primo grado. Questo capo della sentenza non era stato mai appellato dalla paziente.

Gli Ermellini hanno poi preso posizione con riferimento alle censure formulate dalla ricorrente circa l’inammissibilità del ricorso incidentale proposto dall’azienda ospedaliera, con particolare attenzione al profilo dell’omessa indicazione, nell’atto notificato, dell’anno e del numero di ruolo della causa, in spregio di quanto previsto dalla legge in materia di notifiche telematiche.

La Corte ha però rigettato le doglianze della ricorrente ed ha affermato che l’onere di indicare nell’atto notificato telematicamente l’ufficio giudiziario, la sezione, il numero e l’anno di ruolo della causa, previsto a pena di nullità rilevabile d’ufficio dalla normativa di settore, svolge la funzione di consentire di individuare il processo al quale si riferisce, ma, se l’atto contiene comunque elementi univoci, quali, nel caso de quo, gli estremi della sentenza impugnata, la relativa notificazione ha comunque raggiunto lo scopo e non può, pertanto, essere considerata nulla.

Per gli Ermellini il ricorso incidentale della struttura sanitaria era ammissibile, ma è stato rigettato integralmente.

La descrizione dell’esame diagnostico equivale all’acquisizione del consenso informato?

Il motivo di censura dell’azienda ospedaliera si riferiva al fatto che la Corte territoriale aveva omesso di valutare che l’esecuzione dell’esame cui la paziente era stata sottoposta richiedeva la collaborazione della stessa. Da ciò conseguiva che non poteva venire effettuato in mancanza di una informazione e descrizione alla paziente delle modalità con le quali avrebbe dovuto essere eseguito.

La Corte ha sottolineato che l’eventuale descrizione dell’esame diagnostico compiuta durante la sua esecuzione, tesa all’ottenimento da parte della paziente della collaborazione necessaria per poter effettuare l’esame stesso, non equivale all’acquisizione di un valido consenso informato, poiché lo stesso deve essere acquisito con modalità che consentano, eventualmente, al paziente di avere il tempo e il modo di rifiutare la prestazione medica.

Da ultimo gli Ermellini hanno modificato la motivazione della pronuncia della Corte territoriale nella parte in cui aveva erroneamente esteso il principio di onnicomprensività del danno non patrimoniale anche al danno morale che, invece, secondo la Cassazione, costituisce una voce di pregiudizio autonoma ad eccezione delle fattispecie di lesioni micro-permanenti previste dal Codice delle Assicurazioni private.

La Corte di Cassazione, sulla base dei principi sopra esposti, ha cassato la sentenza con rinvio al giudice del merito al fine di accertare l’entità del pregiudizio subito dalla donna per violazione della libertà di autodeterminazione, fermo restando l’onere a carico della stessa della relativa prova in termini di danno conseguenza.

Avv. Maria Teresa De Luca

 

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