Una importante sentenza della Cassazione fa il punto in merito ai test sul feto: ecco in quali circostanze è possibile rilevare la colpa medica.

Con la sentenza numero 19151/2018, la terza sezione civile della Cassazione ha fatto il punto in merito ai test sul feto nel caso in cui questi non vengano effettuati e, alla nascita, si riscontri una patologia.

La vicenda

Nel caso di specie, una donna incinta aveva chiesto più volte al proprio ginecologo di effettuare test clinici sul nascituro, ma il suo medico si era opposto, sconsigliando ogni pratica invasiva sul feto.

Mesi dopo, però, la donna ha dato alla luce una bambina affetta dalla sindrome di Down. Ebbene, la Cassazione ha ritenuto legittima la azione legale della madre della bimba, finalizzata ad ottenere un adeguato risarcimento per la nascita indesiderata.

Inoltre, il procedimento legale è finalizzato anche a vedere riconosciute le colpe del medico, soprattutto per avere negato alla sua paziente la possibilità di valutare l’ipotesi dell’aborto all’epoca della gestazione.

I giudici, infatti, ritengono evidenti le colpe del medico. Soprattutto tenendo conto che la donna aveva espresso implicitamente l’intenzione di abortire se il feto avesse avuto patologie.

A quasi vent’anni di distanza, la donna si è vista dunque riconoscere come legittime le istanze espresse anche in Cassazione. Al momento, resta solo da definire l’onere risarcitorio. Questo sarà sia a carico del medico che della struttura sanitaria.

Per quanto riguarda in particolare le colpe del ginecologo, gli Ermellini, come già i giudici del Tribunale e della Corte d’appello, non hanno avuto dubbi.

Appare inequivocabile l’operato del medico che ha volutamente ignorato “le insistenti richieste della donna, sintomatiche dell’intento di abortire se fosse stata riscontrata una grave anomalia nel feto”.

In tal modo, il medico si è reso responsabile per il “danno morale, biologico e patrimoniale» subito dalla donna e causato «dalla nascita non desiderata”.

Per quel che concerne il risarcimento, i giudici della Cassazione respingono l’ipotesi di un ampliamento del cosiddetto danno esistenziale lamentato dalla donna.

Ciò che si ritiene necessario è un approfondimento sul danno psichico.

Questo in quanto “la donna è risultata menomata nella sua sfera psichica” proprio a causa dell’operato del medico.

Inoltre, scrivono i giudici, “tale lesione non le ha permesso di rielaborare psicologicamente il fallimento dato da una nascita indesiderata, di reggere la lunghezza e la complessità di un accertamento giudiziale di un evento lesivo interferente nella sua vita personale di donna, moglie e madre, e di sopportare il peso di una vita sociale compressa e dedicata esclusivamente a una figlia diversamente abile che non sarà mai in grado di diventare autonoma”.

 

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