Allo stato la ricerca non ha ancora fornito evidenze, accettate dalla comunità scientifica, circa l’esistenza di fattori in grado di determinare una probabilità qualificata di insorgenza del mieloma multiplo (Tribunale di Novara, Sez. Lavoro, Sentenza n. 246/2021 del 28/10/2021 RG n. 491/2020)

Il lavoratore adisce il Tribunale premettendo di essere titolare di azienda agricola, dal 1980, e che nel corso della propria attività faceva utilizzo di sostanze cancerogene: pesticidi, erbicidi, insetticidi e fungicidi, tra i quali Contest alfacipermetrina, Karate Zeon 1.5 (lambda cialotrina), Cadou WG (fluvenacet), Bismark (pendimethalin e clomazone), Ronstar FL (oxadiazon), Rifit (pretilachlor), Gamit (clomazone), Stratos Ultra (cicloxim), Most Micro (pe ndamethalin), Glifosar Fllash (glifosato), Beyond (imazamox), Facet SC (quinclorac), Aura (profoxydim), Clincher One (cialofop – butilene), Stam Novel Flo (propanil), Fenoxilene Max e Tripion E (MCPA), Vaiper (penoxulam), Garlon (triclopir) Sempra (halosulfu ron -methyl), Pul 52 (metsulfuron – methyl, bensufuron -methyl), Akris (dimetenamide), Beam (triciclozolo), Amistar (azossitrobina), Ghibli 240 OD (nicosulfuron), Mondak (dicamba sodico), Callisto (mesotrione), Heteram e Oxaril (oxidiazon), Satoen EC (tiobenca rb), Kocis (imazosulfuron) e altri prodotti con principio attivo 2,4 -D .

Ciò in quanto tali prodotti erano di impiego molto diffuso nella coltivazione del riso, del mais e del frumento, nonostante fosse nota da anni la potenziale nocività per la salute di alcuni di essi.

Precisa, inoltre, che fino alla fine degli anni ottanta e inizio anni novanta, si soleva fare uso di irroratori meccanici che determinavano lo sviluppo di nubi di miscela e allo stesso tempo “le dotazione ed uso di strumenti di protezione, quali guanti, scafandri, mascherine, occhiali erano quasi completamente ignorati”.

Inoltre, i composti in parola erano custoditi in un locale chiuso, in assenza delle cautele necessarie per evitare lo spargimento delle sostanze nell’ambiente.

Nel marzo del 2016, il ricorrente iniziava a soffrire di una lombalgia e in seguito agli accertamenti medici effettuati veniva diagnosticato, a maggio dello stesso anno, un mieloma multiplo IgG/kappa.

La patologia, che il ricorrente deduceva essere causalmente riconducibile all’utilizzo di sostanze cancerogene, veniva curata mediante trapianto autologo di cellule staminali emopoietiche.

L’Inail nega il riconoscimento della malattia professionale sul presupposto dell’assenza del nesso di causalità. Anche l’opposizione ex art. 104 TU 1124/1965, veniva rigettata dall’Istituto, senza procedere a visita collegiale.

All’esito dell’attività istruttoria, il Tribunale non ritiene fondato il ricorso del lavoratore.

La patologia lamentata dal lavoratore non rientra tra quelle cd. tabellate, sicché grava sul danneggiato l’onere probatorio circa la sussistenza del dedotto nesso eziologico.

La prova del relativo nesso causale deve avere un grado di ragionevole certezza, nel senso che, esclusa la rilevanza della mera possibilità dell’eziopatogenesi professionale, questa può essere ravvisata in presenza di un elevato grado di probabilità, per accertare il quale il giudice deve valutare le conclusioni probabilistiche del Consulente, desunte anche da dati epidemiologici, ed effettuata sulla base dei dati di fatto accertati dal giudice.

Il CTU ha, innanzitutto, confermato “la sussistenza della malattia denunciata nel ricorso, attualmente in fase di remissione completa e stabile, in assenza di terapie in atto”…(..).. Malgrado in letteratura esistano molteplici evidenze che ipotizzano un nesso fra l’esposizione a varie sostanze chimiche e l’insorgenza di neoplasie solide ed ematologiche fra cui il mieloma, tale ipotesi non è mai stata confermata ed è rimasta solo una suggestione. Non ci sono quindi elementi di certezza di un rapporto di causa effetto fra l’esposizione ad agenti chimici, in particolare insetticidi/pesticidi, e l’insorgenza di un mieloma. I motivi per cui, malgrado la disponibilità di molti studi, non si riesca a pervenire a una dimostrazione di certezza o quanto meno a una significatività statistica adeguata è probabilmente legato a una serie di ragioni:

– Gli studi epidemiologici condotti sulla ricerca delle cause eziopatogenetiche dei tumori sono molto complicati in quanto la carcinogenesi è un processo per definizione multi step che prevede una serie di fattori concorrenti allo sviluppo della neoplasia

– In particolare quando si tratta di esposizione professionali ad agenti chimici vi è la difficoltà ulteriore di riuscire, pur in coorti molto grandi, ad avere un gruppo consistente di persone che presentino uniformità nelle caratteristiche cliniche e di malattia e altrettanta uniformità nell’entità dell’esposizione

– Nel caso specifico degli insetticidi/pesticidi questa difficoltà di quantificare la dose di esposizione è ampiamente dibattuta al punto che in una metanalisi del 2010 (Weichental et al. Environmental Health Perspectives, vol 118. N.8 pag 1117 -1125) condotta in Canada gli autori concludono “association for specific cancers were often imprecise because of small numbers of exposed cases, and clear monotonic exposure -response patterns were not always apparent. Exposure misclassification is also a concern in the AHS and may limit the analysis of exposure -response patterns”.

– Questa difficoltà nel definire la dose di esposizione e quindi il ruolo causale di una sostanza nei confronti di una patologia viene ad essere complicata ulteriormente quando ci si trova di fronte a esposizioni multiple e a condizioni di esposizioni diverse. Nel caso del Sig. M****A, ad esempio, malgrado la disponibilità di un lungo elenco di sostanze a cui sarebbe stato esposto negli ultimi 40 anni, non possiamo assolutamente stabilire qual è la dose di esposizione dei singoli agenti e il periodo esatto di esposizione. Inoltre, le condizioni sono state sicuramente diverse negli anni in quanto dopo il 1990 per disposizioni di legge ha fatto ricorso ai DPI previsti che quindi rendono praticamente impossibile stabilire se ci sia stata realmente una esposizione tale da poter ipotizzare una causa effetto con la malattia sviluppata. Nel lavoro citato a più riprese di Rusieki del 2009 dove viene trovata un’associazione fra l’esposizione intensiva alla permetrina e il mieloma viene riportato come l’uso dei dispositivi possa ridurre significativamente l’esposizione.

– Più in generale, comunque, quando si parla di dimostrazione di causa effetto non si può certo dare valore solo a studi osservazionali in quanto non sono lo strumento adatto a questo scopo come riportato nel lavoro di Buklmann (PNAS, vol 117, n 42 pag 25963 – 25965) “Association measures alone, like correlation or from (multivariate potentially nonlinear) regression, based on so -called o bservational data (data from the “steady state”), cannot provide answers to directionality and hence for causality in general; one needs additional assumptions or data from other experimental design settings”. Infatti, qualunque studio effettuato su questo tema conclude che i risultati dovrebbero essere confermati in studi più ampi e meglio controllati.

– In ultimo e non certo per importanza un riferimento al concetto di carcinogenesi, alla biologia del mieloma e delle gammopatie nell’insieme. Le mutazioni genomiche sono alla base della carcinogenesi e queste possono derivare da cause esterne come l’esposizione a sostanze mutagene. Lo sviluppo dei tumori in generale e del mieloma in particolare però, per fortuna, non dipende solo dalla comparsa di mutazioni ma da una serie di eventi che concorrono alla comparsa e persistenza di un clone neoplastico. Nel caso specifico del mieloma, è oramai consolidato che tutti i mielomi sono preceduti da una MGUS (gammopatia monoclonale di incerto significato) che, pur essendo una condizione parafisiologica, cioè non ancora definibile come patologia, ha le caratteristiche di clonalità. Si ipotizza che l’evento iniziale delle MGUS accada in seguito a una stimolazione antigenica che, fisiologicamente, porta a un riarrangiamento e a una mutazione ipersomatica attraverso l’intervento di un enzima chiamato ADI (activation induced deaminase enzyme) che rompe il DNA creando i presupposti, nel caso di un errore e di una mutazione anomala dell’insorgenza del clone. A questo punto però affinché il clone persista devono intervenire una serie di passaggi, fra cui ulteriori stimolazioni antigeniche, riarrangiamenti dei geni delle immunoglobuline alterazioni di tratti genetici e ulteriori mutazioni. Tutto questo solo per causare la comparsa di una MGUS che è, come già detto, una condizione parafisiologica. Solo pochissimi casi fra i soggetti che presentano questa condizione evolveranno verso un mieloma vero e proprio e questo avverrà solo se verranno a concorrere ulteriori alterazioni cromosomiche e molecolari, anormalità nel numero di copie nucleari, e soprattutto se ci saranno anche alterazioni del microambito midollare e disfunzioni del sistema immunitario. Diventa quindi difficile immaginare di trovare un nesso causale così semplice e diretto come quello fra un qualunque agente mutageno e il mieloma e, infatti, negli ultimi 30 anni non si è mai riusciti a identificare delle reali condizioni favorenti l’insorgenza di questa patologia la cui eziopatogenesi rimane di fatto sconosciuta. A ulteriore conferma di quest’ultimo punto nella famiglia del periziato non ci sono mai stati altri casi né altrettanto in tutta la zona di Novara, dove la coltivazione di riso è molto diffusa, come afferma la dott.ssa Corsi, è stata segnalata un aumento di incidenza di casi di mieloma. Per tutti questi motivi ritengo che al momento non ci siano i presupposti scientifici per affermare che esista un possibile nesso

In altri termini, allo stato, la ricerca non ha ancora fornito evidenze, accettate dalla comunità scientifica, circa l’esistenza di fattori in grado di determinare una probabilità qualificata di insorgenza del mieloma multiplo.

Nell’ambito delle malattie non tabellate, la normativa e la giurisprudenza sono chiare nell’addossare all’assicurato la relativa prova, non sussistendo neppure, in questo caso, alcuna ragione di vicinanza della prova, come accade nel diverso caso della discriminazione, idonea a determinare un’inversione parziale del relativo onere.

Il ricorso viene rigettato.

La complessità e la novità delle questioni di fatto e scientifiche trattate giustificano la compensazione integrale delle spese processuali.

Spese di CTU in capo al ricorrente.

Avv. Emanuela Foligno

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