In caso di malattia professionale non tabellata il lavoratore deve prima allegare e poi dimostrare la concreta esposizione a rischio, in modo che sia possibile accertare il nesso eziologico tra l’attività espletata e la causa della genesi o dello sviluppo della malattia

Il ricorrente aveva citato in giudizio l’INAIL, chiedendo il riconoscimento del diritto alle indennità previdenziali per malattia professionale non tabellata (Sindrome da conflitto spalla destra e sinistra) denunciato in data 31/08/2017 nella misura dell’8% di danno biologico, specificando che in un precedente giudizio incardinato tra le medesima parti, era stata già riconosciuta l’esistenza della patologia denunciata come di origine professionale ma in misura pari al 4%.

L’uomo aveva affermato di aver lavorato come carpentiere per oltre 35 anni dal 1988 al 2009 presso diverse ditte riportando la patologia descritta.

È noto che dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 179/1988 la tutela assicurativa apprestata dall’INAIL si estende anche a malattie professionali non specificamente tabellate, purché derivanti dalla concreta esposizione ad un rischio lavorativo concreto e congruo. Pertanto, mentre per le malattie tabellate, ove il lavoratore dimostri di essere affetto da una delle malattie indicate in tabella per essere stato addetto ad una delle lavorazioni considerate idonee a cagionare quella malattia, lo stesso lavoratore resta dispensato dall’onere circa la sussistenza del nesso di causalità; nei casi di malattia non tabellata, il lavoratore deve prima allegare e poi dimostrare la concreta esposizione a rischio (Cass. 3556/94 e 3916/94), in modo che, ove l’analisi medica rilevi l’esistenza della malattia, sia possibile accertare il nesso eziologico, ossia che proprio l’attività espletata, come provata, sia stata la causa della genesi e dello sviluppo della malattia.

In particolare, nel sistema dell’assicurazione contro le malattie professionali la distinzione tra le malattie comprese nelle tabelle e quelle ivi non comprese rileva sul piano della prova del nesso di causalità.

L’inclusione nella tabella sia della lavorazione svolta che della malattia contratta (purché insorta entro il periodo massimo d’indennizzabilità eventualmente previsto) comporta l’applicazione della presunzione di eziologia professionale della patologia sofferta dall’assicurato. In tal caso, dunque, al lavoratore è sufficiente dimostrare lo svolgimento professionale della lavorazione indicata in tabella e di essere affetto dalla malattia ivi prevista, senza dover provare l’esistenza del nesso di causalità tra l’uno e l’altra, avendo già l’ordinamento compiuto la correlazione causale tra i due termini.

In caso di malattie pure previste in tabella, ma ad eziologia plurima o multifattoriale, il lavoratore deve comunque fornire la prova, in termini di rilevante o ragionevole probabilità scientifica, dell’idoneità dell’esposizione al rischio a causare l’evento morboso. Per far scattare la presunzione di nesso causale, la prova del lavoratore dovrà dunque avere ad oggetto (oltre alla contrazione della malattia tabellata) lo svolgimento di una lavorazione che rientri nel perimetro legale della correlazione causale presunta e, dunque, che sia ritenuta idonea, secondo un criterio di ragionevole probabilità scientifica, a provocare la malattia. Solo in tal caso la fattispecie concreta potrà ritenersi aderente a quella astratta prevista dalla tabella e potrà scattare la presunzione di eziologia professionale con specifico riferimento a quel lavoratore.

In altre parole, è sufficiente per far sorgere la tutela in favore del lavoratore che l’esposizione a rischio sia stata concausa concorrente della malattia, non richiedendosi che essa abbia assunto efficacia causale esclusiva o prevalente.

Ora, nella vicenda esaminata, non era stato possibile comprendere la natura dell’attività lavorativa svolta dal ricorrente e, dunque, l’origine professionale della malattia e l’esposizione a rischio, atteso che i testi escussi avevano reso dichiarazioni estremamente generiche ed imprecise.

Pertanto, a fronte di un quadro probatorio lacunoso, l’adito Tribunale di Teramo (Sezione Lavoro, sentenza n. 99/2020) ha rigettato la domanda attorea.

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