Per la Cassazione non sussiste il nesso di causa tra la condotta di medico e struttura sanitaria e la sindrome ipossica prenatale della bambina

Con l’ordinanza n. 6515/2021 la Cassazione si è pronunciata sul ricorso dei genitori di una bambina i quali, agendo in proprio e in rappresentanza della figlia minore, avevano convenuto in giudizio la struttura sanitarie presso cui era venuta alla luce la piccola e un medico chirurgo che esercitava presso la clinica per ottenere il risarcimento dei danni conseguenti alle complicanze (“sindrome ipossica prenatale in pretermine”, con conseguente “tetraparesi spastica”) insorte in occasione della nascita.

La domanda è stata accolta dal Tribunale che aveva condannato i convenuti, in solido, a versare in favore degli attori l’importo di Euro 400.000,00, oltre accessori. La Corte di Appello, in riforma della decisione di primo grado, aveva invece integralmente rigettato le domande proposte.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte i ricorrenti eccepivano, tra gli altri motivi, che sarebbe stato omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio (in relazione alla entità delle perdite ematiche riferite telefonicamente dalla puerpera al medico).

Gli Eremllini, tuttavia, hanno ritenuto la censura infondata.

La circostanza deddotta, infatti, era stata in realtà presa in esame nella sentenza impugnata. La Corte di appello aveva in effetti – anche attraverso il richiamo alle relazioni del consulente tecnico di ufficio – preso certamente in esame tutti i fatti storici principali e, in particolare, aveva espressamente preso in esame la condotta del medico prima e durante il parto nonchè la condotta dei dipendenti della struttura sanitaria prima, durante e dopo il parto, escludendo tanto la sussistenza di una condotta colposa (sia da parte della struttura sanitaria che da parte del medico) quanto la certezza della sussistenza del nesso causale tra la condotta dei convenuti (colposa o meno che fosse, in particolare quella del medico) e il danno evento.

Con riguardo alla struttura sanitaria, aveva infatti affermato che “il personale sanitario di quest’ultima aveva proceduto correttamente”, consigliando alla gestante “il ricovero presso una struttura pubblica ed approntando comunque la sala operatoria in un lasso di tempo congruo (secondo la stessa valutazione del consulente)”.

Con riguardo al medico, il Collegio distrettuale aveva affermato che “questi aveva dapprima correttamente diagnosticato il possibile distacco di placenta, di fronte ai sintomi riferiti telefonicamente” dalla donna, e “giustamente consigliato il ricovero immediato presso una struttura idonea, ed aveva poi eseguito perfettamente l’operazione di taglio cesareo (fatto in verità pacifico), operando in tempi tecnici adeguati (secondo la stessa valutazione del consulente)”. Aveva tra l’altro escluso “(ancora una volta anche sulla base della espressa valutazione del consulente) una possibile responsabilità del medico per avere suggerito (peraltro su espressa richiesta della paziente) come possibile il ricovero anche presso la clinica privata invece che necessariamente in una struttura ospedaliera pubblica, trattandosi di strutture entrambe in astratto idonee all’effettuazione del parto cesareo urgente”.

Con riguardo al nesso di causa tra la condotta dei convenuti e il danno evento, il Giudice di secondo grado aveva poi affermato – nella sostanza – che non vi fosse sufficiente prova del fatto che, laddove la gestante si fosse ricoverata presso una struttura pubblica ospedaliera, sarebbe stata operata più rapidamente e, comunque, che non si sarebbero verificati ugualmente per la nascitura i danni cerebrali che ne avevano causato l’invalidità.

La redazione giuridica

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