Accolto il ricorso dei genitori di un minore investito da uno scuolabus contro la sentenza di merito che aveva attribuito pari responsabilità al danneggiato e al conducente del mezzo

Il principio secondo cui il risarcimento del danno dovuto dal danneggiante debba essere proporzionalmente ridotto in base alla entità dell’apporto causale del soggetto danneggiato, non subisce alcuna deroga nel caso in cui il soggetto danneggiato sia un soggetto incapace di intendere e volere. Ciò in quanto il riferimento al “fatto colposo del creditore” di cui all’art. 1227 c.c. non si riferisce a un comportamento colposo quanto piuttosto a un comportamento oggettivamente in contrasto con le regole di condotta, prescindendo dunque dall’imputabilità. E’ l’orientamento ribadito dalla Cassazione nell’ordinanza n. 5452/2021, con la quale i Giudici Ermellini si sono pronunciati sul ricorso presentato dai genitori di un minore investito da uno scuolabus.

Gli attori avevano agito in giudizio nei confronti del conducente, del proprietario e della compagnia assicuratrice del mezzo per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni subiti dal figlio; nello specifico, asserivano una responsabilità esclusiva del conducente del veicolo, il quale avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione durante le manovre. I convenuti, invece, sostenevano la responsabilità in parte anche del pedone investito e dei genitori di quest’ultimo, responsabili per culpa in vigilando.

In primo grado il Tribunale aveva riconosciuto un concorso di pari responsabilità tra il conducente del veicolo e il pedone investito accoglinedo dunque la domanda attorea nella misura del 50% e condannando i convenuti al risarcimento di euro 13.380,38 oltre alla refusione di metà delle spese di giudizio.

La Corte d’appello aveva rigettato l’appello proposto dai genitori avverso la sentenza di prime cure, nel quale gli appellanti chiedevano un accertamento di responsabilità dell’80%, invece che del 50%, in capo al conducente del veicolo. I giudici di merito avevano condiviso la ricostruzione della dinamica del sinistro stradale così come effettuata dal Tribunale, riconoscendo un pari grado di responsabilità tra il conducente del veicolo e il pedone investito. Infatti, secondo i giudici, una condotta prudente e avveduta da parte del pedone avrebbe scongiurato l’evento, data la attenzione riposta dal conducente dello scuolabus nel compiere la manovra.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte il ricorrente lamentava che i giudici di merito avrebbero erroneamente riconosciuto una responsabilità del 50% in capo al pedone invece che del 30%. Non avrebbero considerato che, stante l’età del bambino che all’epoca dei fatti aveva 3 anni, il conducente, una volta resosi conto della presenza dello stesso nei pressi del veicolo, non avrebbe dovuto procedere con la manovra, alla luce della istintiva e naturale imprudenza connaturata ai bambini.

Gli Ermellini hanno ritenuto la doglianza meritevole di accoglimento.

Per la Cassazione, il conducente di un veicolo a motore è tenuto a prevenire anche eventuali scorrettezze di pedoni, specie quando trattasi di bambini, il cui comportamento è intrinsecamente e ontologicamente imprudente.

Il conducente, quando sia accertata la presenza di bambini sul marciapiede latistante la traiettoria del veicolo, in caso di investimento, per vincere la presunzione di cui all’art. 2054 c.c., comma 1, deve dimostrare che il pedone investito (in quel caso, un bimbo di tre anni, svincolatosi dalle mani della nonna per inseguire un cuginetto) non avesse tenuto un comportamento che denunciasse il suo intento di attraversamento della strada, seppur di corsa e fuori dalle strisce pedonali.

Dal Palazzaccio hanno poi specificato che “si ritiene che la condotta anomala del pedone non esclude la responsabilità del conducente qualora tale anomalia fosse prevedibile, come deve ritenersi la condotta dei bambini, specie in un caso come quello oggetto del ricorso in cui il pedone danneggiato aveva all’epoca dei fatti tre anni”.

E ancora, “il combinato disposto degli artt. 140, comma 1, e 191, comma 3, del d.lgs. n. 285 del 1992, impone al conducente di uno scuolabus di non riprendere la marcia, dopo aver fatto discendere i passeggeri, sino a quando questi ultimi non si siano portati a debita distanza dal mezzo, ovvero non si trovino in condizioni di non interferenza con le manovre di esso”.

Alla luce di tali considerazioni il conducente, resosi conto della presenza del minore nei pressi del veicolo a motore, avrebbe dovuto sospendere la manovra fino alla certezza dell’assenza dei bambino di tre anni nei pressi dello scuola bus. La Corte d’appello avrebbe dovuto valutare la condotta del pedone considerando la sua età. Tale giudizio, invece, non era stato compiuto nel momento in cui i giudici di merito avevano affermato che “la condotta del minore costituisce condotta obiettivamente anomala in quanto connotata da particolare pericolosità e imprudenza e riveste evidente e rilevante efficienza causale dell’evento”.

La redazione giuridica

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