Non è indennizzabile per assenza di nesso causale il malore alla guida e successivo immediato decesso dell’autista dell’autotreno (Tribunale di Frosinone, Sez. Lavoro, Sentenza n. 284/2021 del 01/04/2021 RG n. 2001/2018)

Gli eredi del lavoratore deceduto il 13.7.2018 citano a giudizio l’Inail onde vedersi riconosciuta la rendita per legge spettante ai superstiti derivante dall’infortunio mortale che colpiva il loro congiunto colto da un malore alla guida durante l’espletamento delle mansioni lavorative.

Deducono gli attori che il lavoratore, in qualità di autista di 4° livello del CCNL industria edile; conduceva mezzi pesanti con rimorchio, caricava la merce, trasportava e scaricava all’arrivo a destinazione, inoltre caricava e trasportava l’immondizia presso la discarica di Roccasecca

Nell’ultimo periodo lavorativo, il lavoratore guidava in maniera continuativa anche oltre le 10 ore al giorno, effettuando tragitti caratterizzati da ripetuti viaggi giornalieri della durata di 60-90 minuti, percorsi su strade statali caratterizzate da strettoie e tornanti, con significativi dislivelli altimetrici, provvedendo, in fase di arrivo e di ripartenza, alla manovra manuale di sgancio del rimorchio e dei cavi di connessione tra motrice e rimorchio del mezzo.

In particolare, per quanto riguarda il turno del giorno 21.11.2016, giorno dell’incidente mortale, iniziato alle ore 4:52 guidava un autotreno del peso di 520 quintali, molto più pesante rispetto a quelli trasportati solitamente; nello stesso turno, aveva dapprima effettuato un primo tragitto, partendo da Roccasecca a Latina (distanza di circa 95 km); giunto a Latina, lo stesso aveva proceduto alla manovra manuale molto pesante e repentina, di sgancio del rimorchio della motrice e dei cavi delle prese d’aria e di corrente dell’autotreno; successivamente, sempre nella mattinata procedeva a depositare due cassoni a terra e caricarne altri due, pieni di merce, per poi ripercorrere la stessa distanza, in direzione di Roccasecca (95 km); e giunto a destinazione, aveva ripetuto la stessa procedura di sganciamento e scarico ed aveva atteso lo svuotamento dei cassoni trasportati per poi caricarli nuovamente; alle ore 10:30 sempre del 21.11.2016, iniziava un secondo viaggio, per Avezzano -AQ (80 KM), ove, effettuava le medesime operazioni di sganciamento, scarico e carico di altri due cassoni, in condizioni climatiche di temperatura esterna molto differenti rispetto alle prime zone percorse.

Durante il viaggio di ritorno verso Roccasecca alle ore 13:10 circa, mentre si trovava alla guida del mezzo, veniva colto da un malore (infarto miocardico), e urtava contro il muro di cinta di un’abitazione in Avezzano.

L’Inail, con provvedimento del 5.5.2017, comunicava il mancato riconoscimento della rendita ai superstiti, asserendo che la morte non era riconducibile all’evento.

La causa viene istruita attraverso prove testimoniale e CTU Medico-Legale.

Preliminarmente il Giudice dà atto degli esiti autoptici che rilevano: “Grave coronaro miocardio sclerosi; trombosi recente sul ramo discendente anteriore della coronaria sinistra; infarto acuto del miocardio; congestione ed edema polmonare acuto; arresto di circolo”. Esame macroscopico del cuore: “Sfiancamento delle cavità cardiache bilateralmente. Non vizi valvolari. L’endocardio appare ispessito ed il miocardio presenta strie fibrose. Nulla a carico del pericardio. Spessore del ventricolo sinistro 2 cm. Le coronarie appaiono normali per origine e decorso. Le coronarie mostrano placche ateromasiche che riducono in alcuni punti il lume di circa il 50%. Trombosi ramo discendente coronaria sinistra…(..)..causa di morte: “miocardiopatia dilatativa, edema polmonare acuto, arresto di circolo”.

La CTU ha evidenziato che all’epoca del decesso il deceduto, 55enne, aveva precedenti patologici consistenti in sindrome di Rendu -Osler (teleangectasia emorragica ereditaria) complicata da pancitopenia e da ipersplenismo con aneurisma dell’arteria splenica (7/2015), trattata con embolizzazione dell’arteria splenica e successiva splenectomia (8/2015) e associata a coagulopatia da deficienza di tutti i fattori vitamina K dipendenti, in cardiomiopatia valvolare ipertrofico -dilatativa, atriomegalia sinistra e blocco atrio – ventricolare di primo grado e turbe della conduzione intraventricolare aspecifica (6/2015).

Il C.T.U. ha desunto che “quella svolta nelle ore e nei minuti precedenti il malore, fu un’attività che ha richiesto un impegno prevalentemente di tipo isometrico, continuo, caratterizzato da un costo metabolico moderato. Si è trattato, in particolare, di tre sedute di guida di poco meno di 100 km ciascuna, comportanti un costo metabolico verosimilmente compreso tra 1 e 2 mets, precedute e intervallate dell’attività di sgancio e aggancio dei rimorchi comportante un costo metabolico verosimilmente non superiore ai 2 -3 mets….(..).. Tale attività si è svolta nella stagione invernale (nel mese di novembre), nelle prime ore del mattino, con una temperatura compresa fra 0 e 10° e un gradiente di temperatura di circa 7 gradi, in condizioni microclimatiche non estreme. Allo stesso modo, l’attività di guida è presumibile si sia esercitata all’interno di un mezzo di trasporto climatizzato….(..).. Verosimile che nel caso di specie il processo di formazione del trombo abbia avuto il suo inizio prima della comparsa della sintomatologia (nelle prime ore del mattino del 21 novembre o nelle ore precedenti); il “malore” (sostenuto, dopo l’evento ischemico acuto, da una verosimile grave insufficienza cardiaca acuta) si è poi presentato intorno alle 13 del mattino e in condizioni di semi -sedentarietà, il lavoratore era seduto, alla guida del camion, e dunque, non in relazione con uno sforzo fisico.

“Da quanto emerge da tutto quanto raccolto e in particolare dalla relazione necroscopica e dalla documentazione sanitaria allegata agli atti il lavoratore morì per “insufficienza cardiovascolare acuta sostenuta da trombosi sul ramo discendente anteriore della coronaria sinistra e infarto acuto del miocardio in soggetto con cardiomiopatia valvolare dilatativa, blocco di branca di 1 grado, coagulopatia da deficit di vitamina K e S. di Rendu -Osler” .

“L’infarto miocardico acuto è una sindrome clinica risultante dalla diminuzione dell’apporto di sangue, e quindi di ossigeno, a un’area più o meno estesa di tessuto miocardico con conseguenti ischemia e morte delle cellule miocardiche. Nella gran parte dei casi l’infarto si verifica quando nel contesto di una placca aterosclerotica si verificano fissurazioni, rotture o ulcerazioni e, in condizioni che favoriscono la formazione del trombo, si forma un trombo murale che porta all’occlusione coronarica. La diminuzione del flusso coronarico può essere assoluta, nel senso di una occlusione critica di una o più arterie con deficit assoluto dell’afflusso di sangue e, di conseguenza, della disponibilità di ossigeno nei tessuti a valle, oppure relativa, nel senso di una maggiore richiesta di ossigeno da parte del tessuto miocardico alla quale il già deficitario flusso coronarico non può fare fronte. La gravità del danno miocardico dipende da molti fattori, tra i quali vanno ricordati l’importanza e il numero dei vasi colpiti, l’efficacia dei processi trombolitici messi in atto dall’organismo, la richiesta di ossigeno da parte del miocardio il cui rifornimento ematico è stato improvvisamente ridotto e, ultimo ma non meno importante, la tempestività ed appropriatezza degli interventi di primo e di pronto soccorso. Non è raro che all’episodio ischemico acuto, specie se interessa zone del miocardio ove è presente il sistema di conduzione nervosa, possa seguire la fibrillazione ventricolare e l’arresto cardiaco (morte aritmica), mente è assai più raro che la morte improvvisa secondaria ad un infarto miocardio avvenga per la rottura di cuore. La “morte improvvisa” è dunque una delle prime manifestazioni cliniche della cardiopatia ischemica. La letteratura medica ha specificato che le cause della morte cardiaca improvvisa possono essere distinte in “strutturali”, ossia legate ad alterazioni del la struttura del cuore, e in “fattori funzionali aggravanti”; tra le prime (“cause strutturali”) si annoverano: I. cardiopatia coronarica; II. ipertrofia del miocardio; III. miocardiopatia dilatativa; IV. alterazioni infiammatorie e infiltrative del miocardio (es.: miocardite, ecc.); V. cardiopatie valvolari; VI. anomalie elettrofisiologiche strutturali; VII. anomalie elettrofisiologiche ereditarie (es. sindromi congenite del QT lungo, sindrome di Brugada). Tra i “fattori funzionali aggravanti” si riconoscono: I. alterazioni del flusso coronarico; II. condizioni di ridotta gittata cardiaca; III. anomalie metaboliche sistemiche; IV. alterazioni neurofisiologiche (es.: fluttuazioni dell’attività del sistema nervoso autonomo: centrali, nervose, umorali); V. risposte tossiche (es.: effetti pro -aritmici dei farmaci, cardio tossine come ad esempio cocaina o intossicazione da digitale, interazioni tra farmaci). Sempre dalla migliore lettura medica si apprende che fino all’80% di tutti gli episodi di morte cardiaca improvvisa negli USA è attribuibile ad aterosclerosi coronarica; le cardiomiopatie dilatative rendono conto di un altro 10 -15% dei casi e le altre restanti possibili eziologie causano il rimanente 5-10%. L’infarto miocardico acuto è sindrome clinica risultante dalla prolungata diminuzione dell’apporto di sangue, e quindi di ossigeno, a un’area più o meno estesa di tessuto miocardico con conseguenti ischemia e necrosi, sostenuta da un processo di aterosclerosi coronarica, processo, quest’ultimo, ad eziologia e patogenesi plurifattoriale (cioè causato da fattori numerosi, alcuni noti [diabete, ipertensione, dislipidemia, fumo di tabacco, ecc.], altri ignoti). Il perito ha poi rimarcato che la morte improvvisa è una delle manifestazioni cliniche “precoci” della cardiopatia ischemica.

“L’infarto miocardico acuto si verifica con elevata frequenza nelle prime ore del mattino (tra le sei e mezzogiorno secondo alcuni studi, tra le sei e le dieci secondo altri), all’inizio della settimana e in inverno. Nelle popolazioni lavorative vi sarebbe un secondo picco intorno alle quattro del pomeriggio e nel mese di settembre; è noto altresì che esso è talvolta preceduto dalla esecuzione di un lavoro fisico pesante; tale (indiscutibile) associazione cronologica ha stimolato la ricerca per chiarire l’eventuale ruolo dello sforzo fisico intenso nella causazione dell’infarto miocardico. Le prime ricerche sull’argomento sono studi descrittivi e mostrano come circa nel 5% dei pazienti con infarto miocardico un qualche esercizio fisico precede immediatamente la comparsa dei sintomi. Poiché molti di questi studi mancano di popolazione di controllo, essi non sono stati in grado di quantificar e l’associazione tra esercizio fisico pesante e comparsa di infarto miocardico, né, tantomeno, di esaminare i fattori che potrebbero influire sul rischio. Gli studi più recenti utilizzano tecniche epidemiologiche più sofisticate; i più importanti concordemente mostrano un eccesso del rischio cardiovascolare associato all’esecuzione di sforzi fisici intensi. Le caratteristiche dell’antecedente, l’attività di guida e di aggancio e sgancio dei rimorchi, non sono tali da possedere quell’efficienza causale (in termini di intensità lesiva) in grado di determinare – neppure sul piano concausale – siffatto processo patogenetico. Di contro, il verosimile status pro -trombotico indotto dalla dimostrata coagulopatia da cui era affetto il lavoratore, potrebbero avere contribuito alla formazione del trombo e, insieme al trombo e alla preesistente stenosi (“non critica”) dell’arteria coronarica discendente anteriore, a ridurre ulteriormente l’apporto di sangue (e dunque di ossigeno) alla vasta regione di miocardio irrorata dalla arteria coronarica discendente anteriore e a complicare l’ischemia miocardica con l’instaurarsi di una aritmia fatale e di una irreversibile insufficienza cardiocircolatoria.”

In definitiva, il CTU ha ritenuto di non attribuire alla attività lavorativa svolta il giorno della morte le caratteristiche di quella causa violenta capace per specificità ed intensità di turbare la salute o di sopprimere la vita.

Nello specifico il CTU ha sottolineato: “1) l’ordinarietà del lavoro svolto il giorno del decesso (ordinarietà che bene si evince da ricorso ove viene sottolineato come, anche nei giorni precedenti l’evento, lo stesso avesse svolto la medesima attività lavorativa); 2) l’ordinarietà dell’impegno biomeccanico gravato sul lavoratore la mattina della morte (il quale probabilmente, anche la mattina del decesso, come peraltro faceva tutte le mattine, provvide ad effettuare operazioni di aggancio e di sgancio del rimorchio alla motrice e attività di guida del mezzo); 3) la presenza di ostruzione trombotica di un importante ramo coronarico; 4) l’assenza (dedotta dai dati di letteratura) di una relazione epidemiologica tra la morte improvvisa cardiaca determinata da ostruzione trombotica delle arterie coronarie e l’ordinario sforzo fisico; i predetti, sono tutti elementi che consentono di escludere – proprio per l’assenza della causa violenta – che l’evento descritto in ricorso possa realizzare appieno la fattispecie assicurata e prevista dal T.U. 1124/1965 come infortunio sul lavoro”.

In risposta alle note critiche presentate da parte ricorrente, i l C.T.U. ha ribadito: “nel caso di specie, le caratteristiche cliniche ed evolutive della patologia che ha condotto alla morte e le caratteristiche dell’attività lavorativa svolta nei minuti, nelle ore e nei giorni subito precedenti l’evento, non sono tali da giustificare il nesso eziologico, neppure sul piano concausale, tra l’attività lavorativa svolta e la verificazione dell’infarto miocardico acuto…(..).. la guida dell’automobile comporta un dispendio energetico compreso fra 1 e 2 mets. Ora, considerato che la guida di un mezzo pesante è senz’altro più impegnativa, anche per via della necessità del guidatore di scendere e salire dal mezzo e di agganciare e sganciare il rimorchio, il costo metabolico dell’attività potrebbe essere pari a 2 -3 mets (e, nell’ipotesi più estrema, raddoppiandone il valore, fino a 4 mets)…. questo costo metabolico (quello pari a 4 mets, collocato nella parte alta della forbice) definisce una attività come “semisedentaria” od al costo metabolico “moderato” (che è compreso fra 4 e 5,9 mets)…. l’attività di guida, pur protraendosi dalle prime ore del mattino sino al pomeriggio avanzato, constava, nella giornata di lavoro, di periodi di guida della durata non superiore ai 60 -90 minuti continuativi e che il giorno dell’evento lo stesso aveva sostenuto tre sedute di guida coprendo, ogni volta, la distanza di circa 100 Km”.

“Né può avere significativo rilievo sull’entità del costo metabolico che fosse stato alla guida, il giorno dell’evento, di un camion molto più pesante del solito, visto che tutti gli autocarri sono attrezzati con sistemi tali da consentire l’agevole manovra del volante, del cambio, dei pedali e dei sistemi meccanici di aggancio e di sgancio del rimorchio. Queste ultime manovre (quelle di aggancio e di sgancio del rimorchio), lungi dall’essere “continue”, con ogni verosimiglianza avvenivano 4 -6 volte per turno, alla partenza e nel momento in cui, dopo circa 60 -90 minuti di viaggio, il mezzo giungeva a destinazione e, alla fine della giornata lavorativa, all’arrivo in deposito”.

Nella relazione di chiarimenti depositata ha replicato il CTU che “nel caso di pecie, la preesistenza extralavorativa, rappresenta la causa esclusiva dell’evento fatale occorso, il quale – secondo quanto emerge da tutto quanto raccolto e in particolare dalla relazione necroscopica e dalla documentazione sanitaria allegata agli atti – è morto per insufficienza cardiovascolare acuta sostenuta da trombosi sul ramo discendente anteriore della coronaria sinistra e infarto acuto del miocardio in soggetto con cardiomiopatia valvolare dilatativa, blocco di branca di 1 grado, coagulopatia da deficit di vitamina K e S. di Rendu -Osler.”

Conseguentemente, il Giudice che condivide le conclusioni della CTU e i successivi chiarimenti, afferma che l’infarto subito dal lavoratore non è qualificabile come infortunio sul lavoro.

Ne deriva il rigetto della domanda attorea di condanna dell’Inail alla corresponsione della rendita ai superstiti di cui agli artt. 66 e 85 TU 1124/1965.

Le spese del giudizio vengono integralmente compensate tra le parti, in considerazione della complessità della questione Medico-legale.

Invece, le spese di CTU vengono poste a carico dell’Istituto.

In conclusione, il Tribunale, in funzione di Giudice del lavoro, rigetta il ricorso, compensa interamente le spese di lite tra le parti e pone le spese di CTU Medico-Legale a carico dell’Inail.

Avv. Emanuela Foligno

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