Respinto il ricorso di un avvocato che si era visto respingere l’istanza di risarcimento per il mancato inserimento nelle Pagine Bianche dell’utenza telefonica a suo nome

Un avvocato conveniva in giudizio Telecom Italia s.p.a. chiedendo il risarcimento del danno cagionato dal mancato inserimento nelle Pagine Bianche dell’utenza a suo nome per l’anno 2011. Il Tribunale adito accoglieva la domanda, condannando la convenuta al pagamento della somma di € 14.000,00, oltre € 64,32 a titolo di indennizzo da condizioni generali di contratto. La Corte di appello, tuttavia, accoglieva il ricorso presentato dall’azienda, riducendo l’importo dovuto a soli € 64,32, oltre interessi.

Per il Collegio distrettuale, infatti, la circostanza che “l’abbonamento fosse stato stipulato per la categoria “residenziale” e non per quella “affari”, con la mancanza della dicitura avvocato o studio legale affiancata al nominativo dell’utente, ridimensionava l’effetto di pubblicità dell’attività professionale assolto dall’inserimento nell’elenco degli abbonati” e tale effetto era vieppiù ridotto considerando che: l’utenza telefonica dopo il trasferimento era rimasta immutata; con riguardo ai nuovi clienti, le condizioni di inserimento in elenco non avrebbero comunque permesso a chi fosse alla ricerca di un legale di inferire la professione svolta dal legale; il ruolo centrale del telefono cellulare.

A detta del Giudice di secondo grado, pertanto, non era stata fornita la prova della riconducibilità della lamentata flessione del volume d’affari del professionista all’omesso inserimento dell’utenza nell’elenco abbonati, “a tale risultato potendo concorrere numerose ed eterogenee variabili”, quali lo spostamento dello studio o la modifica del foro di appartenenza, e non ultimo il carattere squisitamente personale della professione forense.

L’avvocato ricorreva per cassazione osservando che, stante l’inadempienza all’obbligo di indicazione dell’indirizzo di ubicazione dell’utenza, oltre l’indennizzo spettava il risarcimento del danno lamentato in relazione ai nuovi clienti e che non si comprendeva perché la mancata indicazione di “avvocato” avrebbe escluso la possibilità di nuovi contatti professionali.

Aggiungeva poi che tale omissione aveva determinato una limitazione della possibilità di nuovi contatti professionali quale perdita di chance, essendo un fatto notorio che l’omissione in discorso determini una maggiore difficoltà.

Eccepiva, inoltre, che non vi era stata modifica del foro di appartenenza e che non era stato specificato come tale modifica avesse potuto contrarre gli affari. Aggiungeva, infine, che il concorso di cause non escludeva il nesso di causalità e che il giudice di merito avrebbe dovuto accertare l’efficienza causale di una delle altre cause indicate.

La Suprema Corte, tuttavia, con l’ordinanza n. 18075/2020 ha ritenuto i motivi di doglianza del ricorrente inammissibili.

L’accertamento dell’esistenza del nesso eziologico – hanno rimarcato dal Palazzaccio – spetta al giudice di merito, mentre compete alla Cassazione, salvo il sindacato in ordine alla denuncia di vizio motivazionale, il controllo se nello svolgimento del giudizio di fatto il giudice di merito abbia rispettato le connotazioni normative del rapporto causale fra condotta e danno.

Il ricorrente, nel caso in esame, non si doleva del mancato rispetto delle coordinate normative del nesso eziologico ma del mancato riconoscimento dell’esistenza di tale nesso. In tali limiti la censura corrispondeva ad un’istanza di rivalutazione del giudizio di merito, inammissibile in sede di legittimità. Da li il rigetto del ricorso.

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