Accolto il ricorso degli eredi di un uomo deceduto in conseguenza di un sinistro asseritamente dovuto al manto stradale notevolmente usurato

Si erano visti rigettare la domanda di risarcimento danni avanzata neo confronti della Società autostradale per l’incidente nel corso del quale aveva perso la vita il padre. Il sinistro si era verificato asseritamente per il “manto stradale notevolmente usurato e viscido per la pioggia” che aveva determinato l’uscita di strada della vittima e l’urto “contro la roccia lavica che si trovava immediatamente a margine della carreggiata, priva di idonea barriera di protezione”.

Nel rivolgersi alla Suprema Corte i ricorrenti eccepivano che la corte di merito avesse argomentato dall’erronea premessa che il tratto di autostrada in argomento fosse “entrato in esercizio nel 1971, epoca in cui vi era ancora un vuoto normativo per ciò che atteneva le barriere di sicurezza”, pervenendo quindi ad affermare che il Consorzio autostradale non potesse considerarsi responsabile alla stregua di una normativa emanata successivamente e relativa solo alla “progettazione di nuove opere”; aveva pertanto ritenuto nella specie integrato “il caso fortuito esimente”, in ragione della ravvisata sussistenza della “prova che fosse stata la vittima -come già motivatamente affermato dal primo giudice- a tenere una condotta di guida inadeguata rispetto alle condizioni ambientali, senza le quali non si sarebbe determinato un così improvviso sbandamento della potente vettura ed un così violento impatto contro la scarpata destra”.

Gli Ermellini, con la sentenza n. 19610/2021, hanno ritenuto erroneo tale assunto, accogliendo il motivo del ricorso.

La corte di merito aveva infatti omesso di indicare su quali basi avesse ravvisato la condotta nella specie mantenuta dal defunto quale causa esclusiva del sinistro in argomento, e come fosse pervenuta a considerarla idonea ad “interrompere” il nesso di causalità tra la cosa e il danno.

Nell’affermare che il sinistro era stato nella specie causato dall’eccessiva velocità di crociera mantenuta dal conducente del veicolo, la corte di merito aveva invero del tutto trascurato di considerare la resistenza che una barriera protettiva di sicurezza avrebbe potuto opporre all’urto da parte del mezzo e di vagliare quali conseguenze -differenti o meno- ne sarebbero in tal caso scaturite. Non aveva cioè giudizialmente accertato se la presenza della roccia lavica ai margini della carreggiata richiedesse nella specie l’apprestamento di soluzioni idonee ad evitare la fuoriuscita di un veicolo, da colpa o da malore del conducente determinato, e scientificamente valutato quali sarebbero state le conseguenze dell’urto contro una barriera protettiva, anche in caso di fuoriuscita ciononostante verificatasi.

Nel limitarsi ad apoditticamente escludere che “la presenza delle rocce laviche integrasse una situazione di oggettiva pericolosità tale da imporre la collocazione di barriere”, non essendovi dubbio “che la scarpata ascendente, pur se di natura rocciosa, non dovesse proteggersi con apposite barriere, la relativa ‘esistenza’ apparendo invero “connaturata all’ambiente locale” nonché “idonea in sé a svolgere la funzione di contenimento dei veicoli in svio”, né potendo d’altro canto “i massi sporgenti dal relativo profilo ma comunque collocati in posizione rialzata rispetto alla sede stradale … considerarsi assimilabili agli ‘ostacoli fissi isolati’ esemplificati dalla norma” di cui all'”allegato 1 al D.M. 223/92″, la corte di merito si era invero limitata ad una motivazione in realtà meramente apparente e pertanto inesistente, omettendo di compiere una specifica disamina, richiesta e giustificata – se non da specifiche norme tecniche- dalla norma primaria del neminem laedere, al fine di accertare se e in quale misura l’apposizione di una barriera per quel tipo di strada e di “scarpata ascendente …di natura rocciosa”, avrebbe potuto impedire la fuoriuscita del veicolo dalla sede stradale o altrimenti comunque ridurne le conseguenze.

La redazione giuridica

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