Mastoplastica additiva e contrazione capsulare (Tribunale di Napoli, Sentenza n. 7339/2022 pubbl. il 21/07/2022).

Mastoplastica additiva e successiva contrazione capsulare è quanto contesta la paziente.

La donna cita a giudizio il Medico e la Struttura onde vederli condannati al ristoro di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali occorsi a seguito degli interventi chirurgici di mastoplastica additiva e capsulotomia parziale eseguiti.

A fondamento della domanda parte attrice ha esposto: che in data 16/04/2012 si era sottoposta ad un intervento di chirurgia estetica di mastopessi periareolare con mastoplastica additiva presso Clinica convenuta; che l’intervento era l’ultimo di quattro operazioni chirurgiche ad esecuzione del medesimo professionista per ovviare alle complicazioni post operatorie sorte già dalla prima operazione; che in seguito subiva altri due interventi di capsulotomia per contrazione capsulare di III grado Becher rispettivamente il 09/03/2005 (per la rimozione di sospette protesi PIP) ed il 22/04/2005; che il Medico convenuto non aveva mai rilasciato, per nessuna delle operazioni eseguite, alcuna certificazione o documentazione sulle protesi impiantate né le strutture in cui si sono stati eseguiti gli interventi hanno reso disponibili le cartelle cliniche relative ai diversi ricoveri nonostante le ripetute richieste; che in data 14/01/2013, le era stata diagnosticata una reazione capsulare per entrambe le mammelle e perciò era stata subito sottoposta ad intervento di capsulotomia parziale in data 15/01/2013; che, dunque, dalla serie di interventi di chirurgia estetica effettuati, non solo non aveva conseguito il risultato prospettato ma, anzi, le era derivato un deturpamento dell’area trattata tale da ingenerare grave compromissione psicologica della stessa fino all’abbandono di attività ordinarie e di quelle legate alla sfera affettiva.

Pacifico che la domanda azinata rientra nella responsabilità contrattuale, le conseguenze scaturenti sono da ravvisarsi nel fatto che il paziente che agisca in giudizio deducendo l’inesatto adempimento dell’obbligazione sanitaria deve provare il contratto o il contatto sociale ed allegare l’inadempimento del professionista, che consiste nell’aggravamento della situazione patologica del paziente o nell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento, restando a carico dell’obbligato – sia esso il sanitario o la struttura – la dimostrazione dell’assenza di colpa e, cioè, la prova del fatto che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile (Cass. civ., sez. III, 28 maggio 2004, n. 10297).

Nel caso di specie, parte attrice, ha narrato di interventi chirurgici estetici al seno di mastoplastica additiva nell’arco temporale di oltre 12 anni (dal 2001 al 2012), precisando che i danni richiesti riguardano le sole conseguenze dell’intervento del 16.4.2012.

Di talchè, non possono essere oggetto di indagine gli ulteriori e pregressi interventi subiti, ed inoltre, non può trascurarsi che ancora successivamente all’intervento del 16.4.2012, la donna si è sottoposta ad ulteriori due interventi, nel 2013 e nel 2016.

In sostanza, l’assenza di un accertamento tecnico preventivo per cristallizzare la condizione dei seni della paziente all’esito dell’intervento contestato, alla luce dei precedenti interventi comunque subiti e considerata l’esecuzione anche di successivi interventi nonché il lungo lasso di tempo trascorso, esclude, secondo il Tribunale, la possibilità di indagare le eventuali modalità dell’intervento contestato e le sue conseguenze dannose.

E’ impossibile giungere ad un giudizio anche solo di probabilità, considerato anche l’esito della perizia svolta in sede di indagini penali: in essa, infatti, i periti, hanno affermato che “ la incongruenza del narrato della paziente rispetto alle risultanze documentali rende difficile esprimere un chiaro giudizio sul caso e che, ove confermato quanto dichiarato dalla stessa in denuncia querela, ovvero la circostanza che dopo l’intervento del 2001 si era verificata una complicanza infettiva, non vi sarebbe responsabilità del chirurgo; parimenti, nessun profilo di responsabilità viene individuato con riguardo agli interventi del 2005”.

Ed ancora, proseguono i periti nominati in sede penale, “proprio con riferimento all’intervento del 16.4.2012 che, sulla base di quanto annotato in cartella, in assenza di altri elementi utili (quali foto, esami strumentali, certificazione medica antecedenti l’intervento del 2012) rende impossibile accertare quanto riferito dalla donna che, al contrario, riferisce di avere sopportato un forte inestetismo per svariati anni “.

Appare quindi confermato, anche alla luce della perizia svolta in sede penale come sia impossibile accertare eventuali responsabilità a carico del sanitario per come affermati dalla paziente e non ricavabili da documentazione sanitaria.

La domanda, quindi, in assenza di allegazione e prova del nesso di causalità, allo stato non indagabile neppure a mezzo CTU, viene rigettata.

Avv. Emanuela Foligno

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