Negati il risarcimento del danno non patrimoniale differenziale agli eredi di un ex cantoniere deceduto per un mesotelioma pleurico

Con l’ordinanza n. 1509/2021, la Cassazione si è pronunciata sul ricorso proposto dagli eredi di un ex dipendente dell’ANAS con mansioni di cantoniere, deceduto nel 2001 a causa di mesotelioma pleurico, contro la decisione dei giudici del merito di respingere la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale differenziale per malattia professionale.

La Corte distrettuale, premesso che l’indennizzo a carico dell’Inail poteva concernere solamente la riduzione della capacità lavorativa (con esclusione del danno biologico, trattandosi di denuncia di malattia successiva alla data di entrata in vigore del d.m. 12.7.2000), aveva escluso la responsabilità, ex art. 2087 cod.civ., della società datrice, rilevando che mancavano sufficienti elementi probatori concernenti l’esposizione a polveri di amianto in misura pari ai valori soglia o quantomeno significativa per l’insorgenza della malattia, posto che: la prova testimoniale non aveva offerto materiale sufficiente per poter accertare l’abitualità di una particolare modalità di prestazione dell’attività lavorativa (la raccolta dal ciglio della strada dei pezzi di eternit); il c.t.u. aveva evidenziato che “l’attore non ha potuto documentare l’esposizione personale del padre all’amianto” e si era basato, nella propria analisi favorevole, unicamente su dati statistici; infine, risultava lo svolgimento, da parte del defunto di attività di agricoltore per circa 16 anni (che comportava l’utilizzo di sacchi di juta che in precedenza contenevano amianto) e l’abitudine al fumo (che frequentemente può condurre a “carcinoma bronchiolo alveolare”, patologia da cui l’uomo era affetto).

Nel rivolgersi alla Suprema Corte i ricorrenti deducevano che la Corte territoriale avesse errato nell’escludere la nocività dell’ambiente di lavoro, ritenendo insufficiente il mero richiamo alla declaratoria contrattuale concernente le mansioni di cantoniere nonché le deposizioni testimoniali acquisite che fornivano prova inconfutabile dello svolgimento di attività secondo modalità (utilizzo di amianto) estremamente dannose per la salute.

Gli Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto la doglianza inammissibile e in parte infondata.

La Cassazione, dopo avere escluso l’ipotizzabilità nella fattispecie in esame della responsabilità oggettiva, ha ripetutamente affermato che la responsabilità del datore di lavoro è configurabile non solo allorquando la lesione del bene salute derivi dalla violazione di determinati obblighi imposti da specifiche norme di legge, ma anche allorquando detti obblighi siano suggeriti da conoscenze sperimentali o tecniche. “Corollario di quanto ora detto e della carenza dei caratteri di responsabilità oggettiva – ha specificato il Supremo Collegio – è la regola, più volte ribadita in sede giurisdizionale, che incombe al lavoratore provare l’esistenza del danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro nonché il nesso di causalità tra l’una e l’altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi”.

“L’ambito dell’art. 2087 cod.civ. riguarda, invero, una responsabilità contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici”.

I Giudici di Piazza Cavour hanno poi sottolineato che, come già affermato con riferimento alla lavorazione a cui era adibito il lavoratore defunto, “determinati e specifici lavori (quali, ad esempio, quelli da svolgersi all’aperto, in ambienti sotterranei, in gallerie, in miniera) comportano per loro natura dei rischi per la salute del lavoratore (ricollegati alle intemperie, alla umidità degli ambienti, alla loro temperatura, ecc.) ineliminabili, in tutto o in parte, dal datore di lavoro, e che “rispetto a detti lavori – importanti una necessaria accettazione del rischio alla salute del lavoratore, legittimata sulla base del principio del bilanciamento degli interessi – non risulta, pertanto, configurabile una responsabilità ex art. 2087 c.c. del datore di lavoro, se non nel caso che detto imprenditore con comportamenti specifici ed anomali, da provarsi di volta in volta da colui che assume di essere danneggiato, determini un aggravamento di quel tasso di rischio e di pericolosità ricollegato indefettibilmente alla natura dell’attività che il lavoratore è chiamato a svolgere”.

Nel caso in esame, in conclusione, era da ritenere corretta la pronuncia della Corte territoriale che aveva rilevato come la compiuta istruzione non avesse fornito “sufficienti elementi confermativi della nocività dell’ambiente di lavoro” in relazione all’insorgere del mesotelioma pleurico.

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