Microdecompressione del nervo trigemino e conseguente imperita esecuzione (Cassazione civile, sez. III, 02/09/2022, n.25884).

Una del nervo trigemino erroneamente eseguita provoca il decesso del paziente: colpa o complicanza imprevedibile?

La decisione a commento tratta un interessante ipotesi di accertamento del nesso di causalità e della rilevanza probabilistica delle quattro ipotesi rilevate dai CTU.

Gli eredi del paziente convenivano dinanzi al Tribunale di Napoli, tre Medici e l’Azienda Ospedaliera al fine di ottenere il risarcimento di tutti i danni patiti, in proprio e iure hereditatis, in conseguenza della morte del loro congiunto, provocata, a loro dire, dall’imperita esecuzione di un intervento chirurgico – microdecompressione vascolare del nervo trigemino di sinistra in fossa cranica posteriore – a cui era stato sottoposto.

Il Tribunale di Napoli rigettava la domanda ritenendo che fosse incerto (o comunque non provato) il rapporto eziologico tra condotta esigibile da parte dei sanitari e danno riportato dal paziente.

Il primo Giudice evidenziava che nella fase finale dell’operazione di microdecompressione era sopravvenuta un’emorragia da una vena emissaria del seno trasverso di sinistra che aveva cagionato il decesso. I CTU avevano prospettato quattro possibili ipotesi circa la causa di detta lacerazione, due sole delle quali da ritenersi maggiormente probabili, ed una soltanto riconducibile ad una scorretta esecuzione dell’intervento da parte dei medici. Tuttavia i Consulenti non erano stati in grado di precisare quali delle due ipotesi alternative “più probabili” fosse, in concreto, la più probabile.

Inoltre, il Tribunale evidenziava che neppure l’esame degli atti del processo penale, conclusosi con sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, aveva consentito di risolvere il dubbio in ordine alla sussistenza del rapporto di causalità tra l’evento e la condotta dei sanitari.

La decisione veniva confermata dalla Corte d’Appello di Napoli, la quale sottolineava la correttezza dei principi giurisprudenziali applicati dal primo Giudice in tema di ripartizione dell’onere della prova del nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e l’azione o l’omissione dei sanitari.

In punto di fatto, la Corte territoriale evidenziava che i CTU non avevano attribuito la stessa rilevanza probabilistica a tutte e quattro le ipotesi alternative della causa dell’emorragia nel corso della microdecompressione, ritenendo che due di esse (quella che riconduceva l’emorragia a fattori propri della struttura venosa e quella che supponeva fosse avvenuta la lacerazione non della vena emissaria, bensì direttamente del serio trasverso, a causa di una manovra inadeguata durante la sutura),  avessero maggior peso rispetto alle altre.

L’affermazione dei CTU secondo cui il dato istologico in cartella non confortava l’altra ipotesi della fragilità venosa aveva il solo scopo di precisare che non vi erano elementi per affermare con assoluta certezza che tale evenienza fosse alla base dell’emorragia, ma non consentiva di espungerla dal novero delle possibili cause.

La decisione viene impugnata in Cassazione.

Con i primi tre motivi si lamenta travisamento delle conclusioni della CTU ed erronea applicazione dei principi di diritto in materia di accertamento del nesso di causalità.

Secondo i ricorrenti, la Corte d’Appello avrebbe interpretato le conclusioni dei Consulenti in maniera parcellizzata e frammentaria, omettendo di considerare che gli stessi Consulenti avevano messo in evidenza che tre delle quattro ipotesi circa le cause dell’emorragia erano riconducibili ad errori degli operatori sanitari.

Le censure sono fondate.

La motivazione della sentenza non è coerente e conforme ai principi di diritto affermati dalla giurisprudenza in tema di accertamento del nesso di causalità in materia di responsabilità medica.

Viene al riguardo ribadito che, nei giudizi risarcitori da responsabilità medica, si delinea “un duplice ciclo causale, l’uno relativo all’evento dannoso, a monte, l’altro relativo all’impossibilità di adempiere, a valle.”

Se, al termine dell’istruttoria, rimangono incerti la causa del danno o quella dell’impossibilità di adempiere per causa non imputabile al debitore della prestazione, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano, rispettivamente, sull’attore o sul convenuto, e il ciclo causale relativo alla possibilità di adempiere acquista rilievo solo ove risulti dimostrato il nesso causale fra evento dannoso e condotta del debitore.

Ed ancora è stato più volte affermato che i criteri da applicare sono quelli “della probabilità prevalente” e “del più probabile che non”.

In altri termini, il Giudice deve scegliere l’ipotesi fattuale (essendo la valutazione del nesso di causalità un giudizio di fatto di tipo relazionale) ritenendo “vero” l’enunciato che abbia ricevuto il grado di maggiore conferma relativa sulla base dei fatti indiziari disponibili, rispetto ad ogni altro enunciato, senza che rilevi il numero degli elementi di conferma dell’ipotesi prescelta, e senza che rilevi il numero delle possibili ipotesi alternative concretamente identificabili.

Nel caso di specie le ipotesi palesate dalla CTU risultano quattro, due delle quali ritenute “meno probabili”.

L’errore in cui è incorsa la Corte d’Appello è quello di avere ragionato prescindendo da un dato oggettivo e incontrovertibile, e cioè che l’ipotesi della fragilità venosa non solo non è confermata dall’esame istologico, ma anzi è smentita dallo stesso CTU.

La valutazione di tale fatto risultava del tutto imprescindibile, onde inferirne il conseguente giudizio di maggiore/minore probabilità – tra le due cause, ritenute “più probabili” dal CTU alla luce della scienza medica – dell’emorragia nel corso della microcompressione che condusse alla morte il paziente.

L’errore consiste, pertanto, nell’aver attribuito la stessa rilevanza probabilistica alle due ipotesi indicate nella CTU.

Infine, la Corte territoriale ha ulteriormente errato nel richiamare i principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di causa ignota, poichè, nel caso di specie, la causa dell’emorragia era risultata nient’affatto “ignota”, bensì riconducibile a quattro possibili ipotesi fattuali, che imponevano la scelta di quella più probabile, in applicazione del criterio della probabilità relativa prevalente.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.

Avv. Emanuela Foligno

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