Entrambi i Giudici di merito rigettano la richiesta di revoca, o sostituzione, della misura cautelare della custodia in carcere, applicata all’imputato in relazione ai reati di partecipazione ad associazione mafiosa e di estorsioni, alcune delle quali tentate.
La decisione finisce al vaglio della Corte di Cassazione e viene lamentata l’erronea applicazione dell’art. 275, comma 4-bis, cpp e la carenza o l’illogicità della motivazione. Il Tribunale di Reggio Calabria avrebbe errato nel ritenere compatibile lo stato di detenzione dell’imputato con le sue precarie condizioni psico-fisiche, avendo trascurato le conclusioni alle quali era pervenuto non solo il Consulente di parte ma anche il Consulente nominato dal Tribunale di Palmi, secondo cui “il ristretto è incompatibile con la detenzione carceraria perché soffre di infermità di particolare gravità, non emendabili, ed aggravamenti tali, prevedibilmente aggravabili da un eventuale stato di detenzione, tanto da rendere lo stato di salute incompatibile con la carcerazione stessa”.
La perizia, disposta dal Tribunale del riesame, invece, pur avendo fatto propria la relazione del Consulente del Tribunale di Palmi, in relazione al quadro clinico, non avrebbe osservato nulla in ordine alla necessità di terapie non praticabili all’interno della struttura carceraria e, nonostante avesse accertato che il ricorrente è gravemente cardiopatico e sofferente di apnee notturne, non avrebbe accertato se il detenuto fosse stato dotato di apposito apparecchio ventilatorio, che, invero, come affermato implicitamente nel provvedimento impugnato, non è stato fornito al ricorrente, pur essendo necessario per garantirgli una maggiore possibilità di cure di sopravvivenza.
Le censure sono fondate e vengono accolte.
La compatibilità delle condizioni del detenuto con la misura cautelare
Il Tribunale di Reggio Calabria, nell’affermare la compatibilità delle condizioni di salute dell’imputato con la misura cautelare della custodia in carcere, ha valorizzato le conclusioni a cui, nella relazione depositata il 13 novembre 2024, era pervenuto il Consulente nominato dal Collegio del riesame, secondo cui le citate patologie, “sono monitorate e sottoposte ad adeguate terapie”, così da potersi affermare “che le condizioni di salute del detenuto sono gestibili dal carcere, in cooperazione con le strutture sanitarie territoriali”.
L’anzidetta relazione, secondo il Giudice di merito, “dimostra di avere preso in considerazione tutti gli elementi esposti dalla copiosa documentazione medica, acquisita nel corso del procedimento (tra cui i documenti provenienti dai sanitari della casa circondariale di OMISSIS, i certificati inerenti al diario clinico e i documenti riguardanti le visite mediche specialistiche, sostenute dall’appellante, e, infine, le relazioni del secondo Consulente e del Consulente di parte”.
Proprio per tale motivazione il ricorrente ha dedotto che non è stata presa in considerazione la prima perizia medica svolta disposta dal Tribunale di Palmi, che, al pari della Consulenza di parte, era pervenuta ad epiloghi diametralmente opposti rispetto alle conclusioni del secondo Consulente.
Ebbene, in tema di impugnazione di una misura cautelare, il Tribunale è tenuto a valutare il contenuto della Consulenza tecnica prodotta dalla parte e, sia pure sommariamente, la pertinenza o meno della stessa rispetto all’oggetto dell’indagine, dovendo, ove sussista un contrasto con altri elaborati tecnici su punti decisivi del tema cautelare, dare conto sinteticamente delle ragioni della prevalenza dei rilievi difensivi su quelli posti a fondamento del provvedimento cautelare o viceversa, onde non incorrere nel vizio di violazione di legge per assoluta mancanza di motivazione, essendo insufficiente il generico richiamo alla consulenza tecnica dell’una o dell’altra parte.
L’errore dei Giudici di merito
Questo principio non è stato correttamente applicato dai Giudici di merito.
Il Tribunale, infatti, si è limitato ad affermare che la perizia del secondo Consulente aveva analizzato anche quella del suo predecessore e quella di parte, ma non ha chiarito le ragioni per cui le conclusioni dell’elaborato poi valorizzato, ossia il secondo, fossero prevalenti sugli opposti esiti delle altre due relazioni agli atti.
In tale modo il Riesame ha senza motivo accordato preferenza alla seconda perizia, senza confrontarsi con gli altri elaborati e senza illustrare i criteri di scelta adottati, così che ha eluso l’obbligo di motivazione sul medesimo incombente.
Conclusivamente, viene disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Reggio Calabria, che, nel porre rimedio al vizio di motivazione, dovrà valutare il contenuto della prima Consulenza e di quella di parte e dare conto, quantunque sinteticamente, dei criteri di scelta adottati e delle ragioni della prevalenza o meno delle conclusioni di tali elaborati rispetto alla seconda Consulenza prescelta e posta alla base della decisione.
Avv. Emanuela Foligno