In un contesto lavorativo normale non è integrabile la fattispecie prevista dall’articolo n. 572 del codice penale

L’articolo n. 572 del codice penale, relativo ai maltrattamenti contro familiari e conviventi, non è configurabile in caso di maltrattamenti da parte del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti, salvo che tra i due non sussista un rapporto di para-familiarità. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione pronunciandosi sulla vicenda di un imprenditore chiamato in giudizio da un suo dipendente per averlo sottoposto a “continui comportamenti ostili, umilianti e ridicolizzanti, insultandolo e rimproverandolo e minacciandolo in caso di errori”.
La Suprema Corte, con la sentenza n. 23358/2016, ha respinto il ricorso presentato dal Procuratore generale contro la sentenza della Corte d’appello, la quale, in riforma della decisione del Tribunale di primo grado, aveva ritenuto che la condotta dell’imputato non integrasse il reato previsto dall’articolo n. 572. Per il giudice di secondo grado, infatti, tale fattispecie di reato presupponeva, per l’appunto, l’esistenza di un rapporto di para-familiarità tra lavoratore e datore di lavoro; ipotesi non sussistente nel caso in esame in quanto il lavoratore in questione “era inserito in una normale realtà aziendale”. Pertanto, il comportamento dell’imprenditore avrebbe piuttosto integrato il reato di ingiurie continuate, disciplinato dall’articolo n. 594 del codice penale.
Il ricorrente argomentava la sua impugnazione evidenziando come l’istruttoria avesse accertato che l’impresa era di piccole dimensioni, e che le relazioni tra l’imprenditore e la persona offesa erano abituali. Tale circostanza poteva essere ricondotta, secondo la stessa giurisprudenza della Cassazione, al rapporto di para-familiarità.
Gli Ermellini, tuttavia, hanno ritenuto il ricorso infondato sottolineando come le testimonianze riportate nel corso dell’istruttoria parlassero di un ambiente di lavoro normale senza vincoli specifici tra datore e lavoratore offeso. Quanto alla giurisprudenza i giudici del Palazzaccio hanno precisato che, in base alla sentenza n. 24642/2014, “le pratiche persecutorie realizzate ai danni dei lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (cosiddetto ‘mobbing’) possono integrare il delitto di maltrattamenti in famiglia”, ma “esclusivamente qualora il rapporto tra il datore di lavoro e il dipendente assuma natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia”.
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