La Cassazione ha respinto il ricorso della famiglia della donna morta di tumore dopo una diagnosi giunta in ritardo, assolvendo il medico

È una vicenda che tragica quella donna morta di tumore dopo una diagnosi giunta in ritardo. Il decesso della donna, originaria di Cagnò (Trento), rimane infatti– per la Cassazione –senza colpevoli.
La Corte – sezione civile – ha infatti respinto il ricorso presentato dai figli della signora morta di tumore dopo una diagnosi giunta in ritardo nel 2010.
Il decesso, per la famiglia, è stato causato da errori medici: i figli della signora, infatti, avevano puntato il dito sul ritardo (di 17 mesi) nella trasmissione del referto con il risultato degli esami istologici fatti dalla signora. Finita la causa civile, la Cassazione ha respinto il ricorso sul penale.

Per la giustizia, quindi, non ci sono colpe per il destino della donna.

Destino che, purtroppo, aveva travolto anche il marito. Cinque mesi dopo il decesso della signora di Cagnò, il marito si era tolto la vita con un colpo di pistola sulla tomba della moglie.
A portare avanti la causa, quindi, erano stati i figli della coppia che sono arrivati fino alla corte di Cassazione con i loro appelli.
In primo grado il medico era stato assolto perché “il fatto non sussiste”. Una formula ribadita anche in appello. Il ricorso è stato poi respinto dalla Cassazione.
Lo stesso percorso ha avuto la causa civile con la decisione definitiva che è stata depositata pochi giorni fa.
“La corte territoriale – scrive la Cassazione – con motivazione scevra da qualsiasi vizio logico-giuridico, giunge alla conclusione della assenza di qualsivoglia profilo di colpa, sotto il profilo della negligenza e della carenza informativa, nella condotta dei sanitari della struttura ospedaliera”
Ma per la famiglia della donna morta di tumore dopo una diagnosi giunta in ritardo la decisione non rispecchia la realtà.
Né alla famiglia né al medico di base vennero comunicati gli esiti, tanto che si convinsero che il tumore fosse benigno. Il cancro però, era maligno, e la donna lo apprese con 17 mesi di ritardo.

Un periodo lungo durante il quale, con terapie adeguate, si sarebbe potuta salvare. Invece la malattia passò dal primo stadio al quarto, diventando incurabile.

Nella sentenza della sezione civile della Cassazione, i giudici hanno richiamato la sentenza penale.
“Nel confermare le due pronunce di merito di assoluzione dell’imputato per insussistenza del fatto conseguente al difetto della stessa condotta colposa – si legge – aveva definitivamente accertato come il comportamento del terapeuta non apparisse censurabile, e che l’assenza di comportamenti rimproverabili esonerasse dall’indagine sull’esistenza del nesso di causalità fra la condotta e l’evento, volta che la stessa paziente, con il suo comportamento, aveva impedito ogni ulteriore intervento terapeutico, pur essendo stata informata, nel corso di una lunga telefonata, della necessità di approfondimenti diagnostico-terapeutici a seguito dell’esame istologico”.
 
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