Morte del neonato per streptococco e incertezza del nesso causale

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L’Azienda Sanitaria Regionale del Molise, nello specifico l’Ospedale di Isernia, viene ritenuta dai genitori responsabile della morte del neonato causata da infezione di streptococco. Ma nei tre gradi di giudizio si ribadisce l’incertezza del nesso causale (Corte di Cassazione, III civile, ordinanza 14 novembre 2024, n. 29451).

Il caso

La gravida si affidava all’Ospedale di Isernia per il parto e risultava positivo streptococco l’esame colturale del tampone vaginale. Poco dopo la donna partoriva il proprio bambino che però moriva in ospedale a causa di una infezione da streptococco.

I familiari della piccola vittima azionavano giudizio civile nei confronti dei Medici e della ASL, ritenendoli entrambi responsabili della morte del piccolo per non aver curato tempestivamente l’infezione da streptococco né alla madre, né al figlio. Gli attori hanno successivamente rinunciato alla domanda nei confronti dei medici mantenendola nei riguardi della sola Azienda Sanitaria.

Il Tribunale di Campobasso, previa CTU medico-legale, rigetta la domanda poiché non fornita prova sufficiente del nesso di causa. Anche la Corte di Appello conferma la decisione viene confermata anche dalla Corte di appello.

I Giudici di appello, così come in primo grado, hanno ritenuto non raggiunta la prova del nesso di causa. I CTU avevano formulato ipotesi alternative al riguardo, che andavano dal contagio verticale, ossia per mezzo di trasmissione da parte della madre, a quello orizzontale, vale a dire attraverso contatto con altre persone, sia fuori che dentro lo stesso ospedale.

Questa ratio è contestata davanti alla Corte di Cassazione in relazione ad entrambe le ipotesi formulate dai Consulenti.

Le Consulenze tecniche

Per quanto riguarda la prima ipotesi, secondo i ricorrenti i Giudici di appello hanno fatto affidamento sulle conclusioni del CTU in modo errato. Il CTU, infatti, aveva concluso nel senso che, nell’ipotesi di contagio verticale, ossia da madre a figlio, la terapia antibatterica praticata dalla madre è stata, sì, inadeguata, ma comunque non avrebbe scongiurato l’esito. Ciò significa, secondo la tesi dei ricorrenti, che la Corte avrebbe fatto cattivo governo delle regole che impongono di considerare come causa quella più probabile delle altre.

Riguardo la seconda ipotesi, viene censurata la decisione impugnata nella parte in cui ha escluso che ci fossero prove a favore di tale ipotesi, negando erroneamente rilievo a due circostanze decisive: la prima è costituita dal fatto che, circa un mese dopo, un’altra bambina è morta nello stesso ospedale per la medesima infezione, circostanza che avrebbe dovuto indurre a ritenere non sufficientemente sterile l’ambiente ospedaliero. La seconda circostanza è che era emerso dall’istruttoria che non era stata fatta alcuna sterilizzazione degli ambienti.

L’intervento della Cassazione

La ratio decidendi della decisione di appello è nel senso che non è stato provato adeguatamente il nesso di causalità, perché non è stato chiarito dove e come sia stato contratto il batterio che ha portato poi alla morte del neonato.

Su tale nesso di causa i Consulenti tecnici, sia quelli della causa civile, che quelli nominati nel processo penale che è seguito alla morte del neonato, hanno fatto diverse ipotesi senza ritenere l’una preponderante sull’altra. Per questa ragione, i Giudici di merito non sono stati in grado di stabilire quale sia stata la reale causa del contagio.

Ebbene, questo accertamento non è censurabile in Cassazione perché è accertamento di fatto (cioè quale sia stata la causa dell’evento morte).

Non è in discussione il criterio giuridico di accertamento del nesso di causa, correttamente richiamato dai Giudici di merito. Essi, infatti, fanno applicazione della regola giurisprudenziale del “probabile che non”, ed è proprio in applicazione di tale regola che hanno ritenuto non raggiunta la prova del nesso di causa.

L’incertezza del nesso causale

Non può affermarsi che la Corte di appello avrebbe dovuto ritenere raggiunta la prova del nesso causale semplicemente perché una delle due ipotesi era comunque sufficiente a spiegare l’evento, nel senso che avrebbe dovuto ritenersi indifferente l’origine del contagio, bastando a spiegare l’evento il contagio medesimo.

Le due diverse ipotesi indicate dai CTU contengono due relazioni causali differenti, alle quali seguono due obbligazioni cautelari diverse: se la causa del contagio è stata verticale allora i medici avrebbero dovuto contenerla o evitarla in un determinato modo, adottando cioè cautele diverse da quelle che avrebbero dovuto adottare ove il contagio si fosse verificato non da madre a figlio, ma da parte di altre persone o dello stesso personale sanitario. L’individuazione di quale fosse l’origine del contagio era dirimente ai fini della spiegazione causale del fatto perché avrebbe consentito di individuare la condotta alternativa lecita (giudizio controfattuale), ovverosia quella condotta che avrebbe evitato l’evento se fosse stata posta tempestivamente e correttamente in essere.

In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso rammentando il principio espresso da Cass. 7127/2017 proprio riguardo alla incertezza del nesso causale.

Avv. Emanuela Foligno

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