Muore investita in bici, riconosciuto il danno da lucro cessante al marito

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Il Giudice di merito riconosce al marito della vittima il lucro cessante a seguito del venir meno dell’apporto economico dato dalla stessa con la sua pensione. La Cassazione ritiene corretto il ragionamento dei giudici di Appello (Corte di Cassazione, III civile, 14 novembre 2024, n. 29477).

I fatti

La vittima percorreva con la bicicletta un tratto di strada provinciale, con direzione di marcia Schio. Giunta nei pressi dell’ingresso del parcheggio del centro commerciale posto alla sua sinistra, si portava dal lato destro della propria corsia di marcia verso il centro della carreggiata, con il probabile scopo di accedere al suddetto centro. Oltrepassata la propria corsia di marcia e giunta a cavallo della linea di mezzeria, veniva raggiunta da dietro, colpita violentemente e scaraventata a terra da una moto Honda di grossa cilindrata che recava a bordo anche un passeggero. La donna veniva catapultata a decine di metri dal punto d’urto morendo sul colpo. La moto risultava priva di copertura assicurativa e colpita da fermo amministrativo mentre il conducente risultò non in possesso della patente di guida per condurre un mezzo di quelle dimensioni.

Il giudizio penale addossava la piena responsabilità dell’evento al motociclista e i familiari della povera vittima, in sede civile, chiedevano la condanna dell’assicurazione designata dal FGVS.

Il procedimento civile per il risarcimento danni

Il Tribunale di Vicenza ha ritenuto che la responsabilità del sinistro fosse imputabile in via del tutto prevalente alla condotta del motociclista (75%) e in una percentuale assai minore (25%) alla vittima per non avere segnalato lo spostamento all’interno della carreggiata. In secondo grado, la Corte di Venezia ha confermato, con le medesime percentuali, la maggiore responsabilità del motociclista per velocità elevata e la corresponsabilità, minore, della vittima. Ha rigettato altri motivi di appello ed ha accolto soltanto il motivo di gravame relativo alla determinazione del lucro cessante subìto dal marito della vittima a seguito del venir meno dell’apporto economico dato dalla moglie con la sua pensione.

Il Tribunale, invece, aveva detratto dall’importo dovuto al marito, l’intero ammontare della pensione di reversibilità. Correttamente i Giudici di appello hanno applicato i principi della compensatio lucri cum damno (S.U. 12564/2018). Hanno stabilito che, dal risarcimento del danno patrimoniale patito dal familiare di persona deceduta per colpa altrui, non deve essere detratto il valore capitale della pensione di reversibilità accordata dall’INPS al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto, trattandosi di una forma di tutela previdenziale connessa ad un peculiare fondamento solidaristico e non geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell’illecito del terzo. Conseguentemente i giudici di Appello hanno riconosciuto dovuta una somma ulteriore di €113.688,19.

La Corte di Cassazione conferma la decisione d’appello

I familiari della vittima sostengono che non sia stata provato che la donna abbia tenuto un comportamento esente da colpa perché stava compiendo uno spostamento all’interno della carreggiata, portandosi verso la linea di mezzeria al fine di effettuare una manovra di svolta a sinistra. Trattandosi di una bicicletta, andava segnalato lo spostamento ai veicoli che sopraggiungevano da tergo alzando il braccio sinistro e non vi è prova in atti che detto comportamento sia stato compiuto. Secondo i ricorrenti il concorso tra colpa specifica dell’uno e colpa presunta dell’altro, in applicazione dell’art. 2054 c.c., avrebbe potuto essere superato in ragione della condotta eziologicamente assorbente di uno dei due. Tutti gli elementi raccolti (rilievi tecnici, foto dei veicoli, consulenza tecnica d’ufficio, etc.) confermerebbero la responsabilità esclusiva della moto nella causazione del sinistro.

Questa censura non viene ammessa perché, in realtà, prospetta una differente valutazione delle prove.

I congiunti lamentano, inoltre, la omessa personalizzazione del danno non patrimoniale non avendo la Corte considerato, anche attraverso presunzioni, il legame affettivo tra la vittima, i figli e il marito e le ripercussioni della sua mancanza sulla vita di ognuno. Anche questa censura non viene ammessa perché implicherebbe la rivalutazione di una questione di fatto.

Conclusivamente il ricorso viene dichiarato inammissibile.

Avv. Emanuela Foligno

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