Danno biologico e mancata dimostrazione del nesso di causalità

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Non viene riconosciuto alla vittima del sinistro stradale il danno biologico per la mancata dimostrazione del nesso di causalità con il decesso, ma la Cassazione dà ragione i danneggiati (Corte di Cassazione, III civile, 13 novembre 2024, n. 29287).

Il caso

La Corte di Roma ha rideterminato in diminuzione l’entità della condanna pronunciata in primo grado a titolo di risarcimento per i danni subiti dai congiunti della vittima in conseguenza del decesso causato da un sinistro stradale.

I Giudici di appello, innanzitutto, hanno dato atto della eccessività degli importi risarcitori liquidati in primo grado a titolo di risarcimento del danno per la perdita del rapporto parentale, evidenziando come il Tribunale avesse riconosciuto un importo superiore a quello espressamente e specificamente indicato negli atti di giudizio, pertanto conteneva entro l’importo richiesto l’entità della condanna a carico dei convenuti.

Confermata, invece, la mancata dimostrazione del nesso di causalità tra il danno biologico dagli stessi rivendicato e il decesso del congiunto, con conseguente rigetto della domanda.

Il ricorso in Cassazione

Dinanzi la Cassazione i danneggiati lamentano sostanzialmente la liquidazione del danno e deducono, in particolare,  che i Giudici di appello avrebbero tenuto conto unicamente delle conclusioni contenute nella memoria conclusionale, senza considerare il contenuto delle conclusioni rassegnate nell’atto di citazione e nel verbale relativo all’udienza di precisazione delle conclusioni, dai quali era emerso il condizionamento, da parte degli attori, della liquidazione del danno all’accertamento dell’eventuale “diversa somma maggiore o minore di giustizia da liquidarsi anche in via equitativa”. Condizione, quest’ultima, che avrebbe legittimamente giustificato una liquidazione, da parte del Giudice, di importi a titolo risarcitorio superiori a quelli specificamente indicati.

La Suprema Corte dà ragione ai danneggiati.

Difatti, solo dall’esame diretto della comparsa conclusionale depositata dagli attori si può escludere che l’oggetto della domanda fosse limitato ai soli importi indicati nella narrativa dell’atto, avendo piuttosto insistito “nelle conclusioni all’udienza del 28/05/2015” anche con riferimento “alla diversa somma maggiore o minore di giustizia da liquidarsi anche in via equitativa”.

Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza, quando l’attore, con l’atto introduttivo del giudizio, rivendichi, per lo stesso titolo, l’attribuzione di una somma determinata, ovvero dell’importo, non quantificato, eventualmente maggiore, che sarà accertato all’esito del giudizio, non incorre nel vizio di ultrapetizione il Giudice che condanna il convenuto al pagamento di una somma maggiore di quella risultante dalla formale quantificazione inizialmente operata dall’istante, ma acclarata come a quest’ultimo spettante in base alle emergenze acquisite nel corso del processo.  

È errata, pertanto, l’affermazione contenuta nella sentenza d’appello, secondo cui gli attori avrebbero limitato l’oggetto della domanda posta in primo grado ai soli importi contenuti nelle “pagine 33 e seguenti della conclusionale di primo grado”.

La mancata dimostrazione del nesso di causalità

Riguardo al mancato riconoscimento del danno biologico, gli Ermellini osservano che i Giudici di appello hanno esaminato con attenzione gli esiti della CTU dalla quale è risultata la mancata dimostrazione del nesso di causalità, tra il sinistro e gli esiti invalidanti invocati, escluso sulla base di argomentazioni corrette e plausibili anche sul piano logico-giuridico.

Ad ogni modo, la Cassazione rileva anche che i ricorrenti non si sono confrontati con la ratio della decisione perché hanno confrontato la congruità della motivazione con elementi tratti aliunde dalla stessa.

Conclusivamente, la decisione viene cassata in relazione alla censura accolta.

Avv. Emanuela Foligno

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