Mobbing, demansionamento e danno patrimoniale

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Confermato l’orientamento giurisprudenziale che ha differenziato le vicende del mobbing e del demansionamento, con la conseguenza che la non ricorrenza dei requisiti della prima situazione non escludono il verificarsi della seconda (Corte di Cassazione, IV – Lavoro civile, 14 novembre 2024, n. 29397).

La vicenda

Il dipendente comunale chiede la reintegra nelle mansioni dirigenziali e il risarcimento dei danni subiti anche a titolo di mobbing.

Il Tribunale di Sala Consilina, con sentenza n. 70/2017, ha accolto il ricorso del lavoratore limitatamente al mancato pagamento dell’indennità di funzione condannando il Comune di Santa Marina al relativo pagamento. In secondo grado, la Corte di Potenza (sent. 306/2018) ha rigettato i gravami.

La Suprema Corte dà, invece, ragione al lavoratore.

Il ricorso in Cassazione

Quest’ultimo lamenta omessa pronuncia in ordine alla sua domanda concernente il demansionamento, riguardo al quale aveva chiesto di essere reintegrato nell’incarico dirigenziale di direzione dell’Ufficio Tecnico, avendo il Comune soccombente deciso solo sulla parte del giudizio concernente il mobbing.

Ebbene, dalla lettura del ricorso introduttivo e dell’appello emerge che il lavoratore aveva agito lamentando due distinte condotte: quelle vessatorie sul luogo di lavoro, ma anche di avere patito un demansionamento.

La giurisprudenza ha differenziato le vicende del mobbing e del demansionamento, con la conseguenza che la non ricorrenza dei requisiti della prima situazione non escludono il verificarsi della seconda.

Infatti, nell’ipotesi di demansionamento, il danno non patrimoniale è risarcibile ogni qual volta la condotta illecita del datore di lavoro abbia violato, in modo grave, i diritti del lavoratore che siano oggetto di tutela costituzionale, in rapporto alla persistenza del comportamento lesivo (pure in mancanza di intenti discriminatori o persecutori idonei a qualificarlo come mobbing), alla durata e reiterazione delle situazioni di disagio professionale e personale del dipendente, nonché all’inerzia del datore di lavoro rispetto alle istanze del lavoratore.

Ergo è corretta la doglianza del lavoratore sul punto.

Riguardo al lamentato mobbing, la sentenza di merito è motivata congruamente. La Corte di Potenza ha concluso che non vi era “la possibilità di ritenere sussistente il denunciato (ma non analiticamente specificato né provato dall’interessato) mobbing lavorativo“.

La sentenza impugnata viene cassata, limitatamente alla censura accolta, con rinvio alla Corte d’appello.

Avv. Emanuela Foligno

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