La lavoratrice, dipendente del Comune di Lerici, intraprende il giudizio onde ottenere la declaratoria di mobbing posta in essere dal suo datore di lavoro.
Il Tribunale di La Spezia respinge la domanda. Invece, la Corte di Appello di Genova accertava il carattere mobbizzante delle condotte subite dalla lavoratrice (nel periodo dal 2004 al 2011). Quindi condanna il Comune di Lerici al pagamento di 4.318,02 euro a titolo di danno emergente, nonché delle somme di 2.940 euro a titolo di inabilità temporanea totale e di 10.000 euro a titolo di danno morale. Inoltre condanna il superiore gerarchico della lavoratrice a tenere indenne il Comune di Lerici dagli effetti pregiudizievoli della sentenza.
I Giudici di Appello ritenevano, come detto, provato il carattere persecutorio della condotta nei confronti della lavoratrice nel periodo dal 2004 al 2011. Escludevano, tuttavia, la sussistenza di un danno biologico permanente, essendo dalla CTU accertata la sussistenza di uno stato di sofferenza legato a una risposta allo stress di impotenza e vulnerabilità a fattori esterni. Non riteneva di approfondire l’esame peritale alla luce delle critiche del consulente tecnico della lavoratrice, essendo emerso dai certificati medici depositati che la lavoratrice si era assentata per malattia anche per problematiche diverse dalla depressione.
Il giudizio di inammissibilità della Corte di Cassazione
L’impugnazione viene intrapresa dal superiore gerarchico della lavoratrice, cui rispondono le altre parti con ricorsi incidentali.
Per quanto qui di interesse, il Comune lamenta l’avvenuto riconoscimento del mobbing nonostante l’assenza di demansionamento e di danno permanente e si duole del riconoscimento di un danno biologico da invalidità temporanea documentalmente dissociato dalla patologia dedotta. Evidenzia inoltre l’insussistenza della prova diretta del nesso causale e lamenta il riconoscimento del danno morale, non oggetto di domanda, in assenza del danno biologico
La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, ne ha verificato la fondatezza, ed ha esposto il proprio percorso argomentativo sia in fatto che in diritto in modo analitico, completo, comprensibile ed immune da affermazioni reciprocamente inconciliabili.
Sulle specifiche condotte, i Giudici hanno accertato che le condotte poste in essere dal superiore, sono state contraddistinte dalla volontà di mortificare il ruolo lavorativo e la personalità morale della lavoratrice.
Gli atteggiamenti persecutori nei confronti della lavoratrice
- I ripetuti rimproveri alla lavoratrice rivolti con toni particolarmente accesi e alla presenza di terze persone,
la progressiva erosione delle originarie mansioni senza informarla e in assenza di una previa riorganizzazione dell’ufficio di cooperazione internazionale,
il mancato riscontro fino al 2011 alle numerose e motivate richieste della lavoratrice di ottenere il ripristino del collegamento ad internet,
le brusche modalità del passaggio all’URP (avvenuto senza preavviso lo stesso giorno in cui la lavoratrice era rientrata dalla malattia e senza passaggio di consegne),
la privazione del potere di firma per molti mesi, il divieto di accedere alla propria posta elettronica, benché fosse ancora formalmente assegnataria di mansioni presso l’ufficio di cooperazione internazionale con mansioni mai precisate nonostante l’esplicita richiesta,
la richiesta di occuparsi dell’accoglienza dei bambini del Saharawi previa revoca delle ferie già programmate,
il cambio della serratura del suo precedente ufficio per evitare la consultazione della posta elettronica,
la richiesta di sottoporre la lavoratrice a visita di idoneità psico-fisica,
l’avere apprestato presso l’URP una postazione di lavoro in un locale separato da quello in cui si trovavano le sue colleghe,
l’avere disposto un orario di apertura al pubblico prolungato che nessun altro ha dovuto osservare in sua assenza, - l’omessa valutazione tempestivamente relativamente agli anni 2008-2009 ai fini dell’attribuzione della progressione economica orizzontale, disattendendo le indicazioni del Nucleo di Valutazione.
Tutte queste circostanze risultano pacificamente provate. Oltre a ciò, è ancor più deplorevole il fatto che il superiore, fino al 2011, non aveva riscontrato le numerose e motivate richieste della lavoratrice di ottenere il ripristino del collegamento ad internet, indispensabile per lo svolgimento delle mansioni relative alla cooperazione internazionale, e ai cui fini era necessaria l’autorizzazione del superiore gerarchico.
La nozione di mobbing è di tipo medico legale
Ciò posto, la S.C. rammenta che la nozione di mobbing è di tipo medico legale e non ha autonoma rilevanza ai fini giuridici ove vengono definiti tali comportamenti persecutori in contrasto con l’art. 2087 c.c. e con la normativa in materia di tutela della salute negli ambienti di lavoro (Cassazione civile, sez. lav., 28/12/2023, n.36208).
Il mobbing è integrato da una pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli per la persona interni al rapporto di lavoro e dal comportamento persecutorio nei confronti della vittima.
Pertanto, la sentenza della Corte d’Appello è conforme ai principi della materia.
Avv. Emanuela Foligno